Perché siamo in affanno?Dopo 5 mesi dal via, lavori posti in terapia intensiva iniziano solo ora. Realizzati 1259 sui 3500 previsti

26 Ottobre 2020
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di Giuseppe Olivieri – Se è vero che non esistono certezze assolute in relazione alla pandemia in corso, ci sono comunque elementi inconfutabili ad essa correlati. Ci si è già chiesto nei mesi scorsi il motivo per cui in Germania, per esempio, ci fossero molti meno decessi a causa della Covid 19 rispetto all’Italia. Accanto a chi ha supposto una differente classificazione delle cause di morte, c’è chi ha sottolineato una migliore applicazione della Medicina territoriale e una più efficiente organizzazione sanitaria in termini di personale e strutture.

La primavera scorsa i numeri avevano già messo in luce impetuosamente un differente numero di infermieri (5,8 per 1000 abitanti in Italia, 12,9 in Germania), di posti letto negli ospedali (3,2 per 1000 abitanti in Italia, 8 in Germania), di posti letto in terapia intensiva (8,6 letti per 100 mila abitanti in Italia, 33,9 in Germania).

Sarebbe dovuta partire, quindi, una corsa contro il tempo per poter colmare almeno una parte di questo gap e migliorare gli interventi a livello sanitario nel caso di una seconda ondata di contagi. Fin da subito ci si è resi conto della difficoltà di avere a disposizione immediata un più alto numero di operatori sanitari, in quanto gli effetti di un auspicato aumento dei posti all’interno dei vari percorsi formativi (per esempio le Scuole di Specializzazione di Medicina) sarebbero eventualmente raggiungibili fra alcuni anni. Si sperava, così, che il governo centrale provvedesse almeno ad un’implementazione di posti letti ospedalieri ed, in particolare, quelli della terapia intensiva.

A distanza di cinque mesi dal DL Rilancio sono stati creati appena il 30% dei posti di terapia intensiva in più previsti: al 9 ottobre, rispetto ai 5.179 posti disponibili fino all’era pre Covid, ne sono stati aggiunti solo 1.259, appena un terzo rispetto ai 3.500 programmati.

Sui ritardi influisce come sempre la solita burocrazia italica. Ogni Regione ha dovuto presentare un piano al Ministero della Salute. Arcuri, il commissario straordinario, lo avrebbe ricevuto da parte di tutte le regioni tra il 3 e il 24 luglio scorso, ma nonostante i progetti e i finanziamenti già stanziati, i tempi si sono allungati: si sono verificati gravi ritardi nei vari passaggi e nelle relative approvazioni con responsabilità che, come sempre, non risultano chiare.

Il bando nazionale è stato pubblicato soltanto all’inizio di ottobre e scaduto il 12 dello stesso mese: i lavori dovrebbero cominciare nei prossimi giorni, ma i reparti ospedalieri sembrano già in affanno. Alcune regioni si sono mosse autonomamente per ampliare i propri reparti, ma istituire oggi i cantieri e portare a compimento le opere programmate sarà probabilmente più complicato rispetto a quanto sarebbe stato in estate, con le terapie intensive in gran parte libere da pazienti malati di Covid 19.

Mai come ora si rende necessario evitare passaggi burocratici inutili e pericolosi. Mai come oggi la classe politica deve distinguersi per lungimiranza e capacità di programmazione, anche se le premesse non sono affatto confortanti. Mai come in questo momento storico vi è la necessità di rivendicare da parte delle Regioni il diritto di gestire meglio le proprie risorse economiche, frutto dei sacrifici dei propri cittadini. Per farlo è necessario un grande coraggio e una prova di forza finalizzata ad un bene supremo.

La Lombardia avrebbe 54 miliardi di residuo fiscale ogni anno da gestire. Non si tratta, almeno adesso, di trattenerlo per un mero desiderio di rivalsa nei confronti del potere centrale, bensì per la necessità di metterlo al servizio di chi durante questa pandemia sta rischiando la propria vita come paziente, come operatore sanitario, come lavoratore.

Giuseppe Olivieri, medico odontoiatra, Responsabile Grande Nord, Zona Ovest Area Metropolitana di Milano

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