Brindisi - Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella saluta il Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, oggi 13 giugno 2024. (foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Nomine Europa, verso la rottura? Italia all’angolo, da Mattarella assist a Meloni: Errore escluderci

27 Giugno 2024
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E’ “disgregante la linea politica di chi ha come priorità all’interno della costruzione europea l’obiettivo di mettere all’angolo” i cittadini che hanno fatto delle scelte in libere elezioni. Lo ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nelle repliche al Senato alle comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno. “La sfida di quest’Europa è lavorare con rispetto per unire le sue nazioni, cercare punti di sintesi, lavorare insieme sulle grandi materie”, ha aggiunto la premier.

“Non si può prescindere dall’Italia”. Il momento – per l’Ue come per il nostro Paese – è delicato, e Sergio Mattarella decide di non far mancare il suo sostegno. Il Capo dello Stato, come da sue prerogative, non intende entrare nelle dinamiche politiche europee di questi giorni, ma ricevendo al Quirinale Giorgia Meloni ei ministri competenti, come sempre accade alla vigilia di un Consiglio europeo, dice chiaro il suo pensiero. 

In questi giorni Bruxelles la situazione viene battezzata da Adnkronos come una Bisanzio del XXI secolo. Un punto fermo: l’accordo sui ‘top jobs’, le cariche apicali Ue per la legislatura 2024-29, è stato fatto trapelare ieri tramite l’agenzia Dpa: i negoziatori di Ppe, Pse e Renew hanno concordato sulla tedesca Ursula von der Leyen presidente della Commissione Europea, il portoghese Antonio Costa presidente del Consiglio Europeo, l’estone Kqja Kallas Alta Rappresentante. Quindi, la partita è apparentemente già chiusa. Un’anticipazione così plateale dell’intesa rischia di rendere il vertice di domani e dopodomani una formalità, urtando la sensibilità, ma secondo alcuni in un certo senso facendo persino il gioco, di chi è rimasto fuori dall’intesa, come l’Italia, il premier ceco Petr Fiala, dell’Ecr, e l’ungherese Viktor Orban, che non appartiene a nessuna politica famiglia. Già la cena informale del 7 giugno era andata male: i leader che erano rimasti due ore ad aspettare i negoziatori, insieme al presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, come conferma una fonte diplomatica, non l’avevano presa bene, per usare un eufemismo.

Se il Consiglio di domani e venerdì dovesse chiudere la partita con un voto formale, la rottura sarebbe plateale. Certo non sarebbe la prima volta: nel 2014 il britannico David Cameron e l’ungherese Viktor Orban votarono contro Jean-Claude Juncker; nel 2019 Angela Merkel è stata caldamente invitata ad astenersi sulla sua pupilla, Ursula von der Leyen, tirata fuori dal cilindro dopo aver fatto cadere, come tanti piccoli indiani, gli Spitzenkandidaten. Tra questi ultimi c’era proprio quel Manfred Weber che oggi è il kingmaker delle nomine e che Orban ha accusato di svolgere un ruolo ”diabolico”, ricorda ancora Adn.

Sulla carta non c’è partita: si vota a maggioranza qualificata rafforzata, cioè almeno 20 Paesi membri a favore, in rappresentanza di almeno il 65% della popolazione. Ppe, Pse e Rinnova insieme contano su 22 capi di Stato e di governo, cui si può aggiungere, come minimo, il presidente lituano Gitana Nauseda. Non c’è modo, per i due dell’Ecr (Giorgia Meloni e il ceco Petr Fiala), anche unendo le forze con Viktor Orban e con lo slovacco Peter Pellegrini (sostituisce il premier Robert Fico, ancora convalescente dopo l’attacco che per poco non gli è costato la vita), per fermare l’accordo.

Certo, il Consiglio Europeo tenta ”sempre” di essere ”inclusivo”, spiega un alto funzionario Ue. Tuttavia, aggiunge, ”ci sono delle regole”, la maggioranza qualificata si è rafforzata, e ”non possiamo impedire ai leader di fare accordi”, se crede. Non è sicuro che si arriverà ad un voto: ”Dovremo valutare esattamente a che punto sono i leader”, dice la fonte.

Si dovranno soppesare, eventualmente, ”i motivi” che spingono un capo di Stato o di governo a volere il voto: nel 2014 Cameron fu ben contento, per ragioni di politica interna, di opporsi a Juncker, in modo che la sua opinione pubblica sapesse. Da parte della presidenza del Consiglio Europeo c’è una evidente volontà di tenere il più possibile i leader a bordo, anche perché Giorgia Meloni a livello Ue è sempre stata collaborativa.

Anche una fonte diplomatica europea ritiene che ”più ampio sarà il consenso” sulle cariche apicali, meglio sarà”. Con la premier italiana ”si può lavorare”, spiegato hanno ripetuto fonti Ue. Tuttavia, ”il trattato è il trattato, ci sono delle regole”, ricorda l’alto funzionario Ue: quindi, se Ppe, Pse e Renew vorranno scegliere la linea dura, possono farlo. In questo clima, non aiuta il fatto che al presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, che ha notoriamente rapporti pessimi con Ursula von der Leyen, si attribuisce la volontà di voler impedire un secondo mandato per l’attuale inquilina di palazzo Berlaymont.

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