Milano, l’Ordine dei medici: fuga all’estero anche a 60 anni

10 Maggio 2023
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“Il più anziano che io mi ricordi è stato un chirurgo di 65 anni a cui hanno offerto un ottimo contratto negli Emirati Arabi”. Il più anziano a richiedere al presidente dell’Ordine dei medici di Milano, Roberto Carlo Rossi, di firmare un certificato di onorabilità professionale (Good Standing) per andare a lavorare all’estero. Sono quei documenti che attestano l’assenza di impedimenti di tipo penale e professionale all’esercizio della professione e l’Ordine li firma per chi è diretto in Paesi extraeuropei (per i Paesi europei, Regno Unito compreso, li rilascia direttamente il ministero). Rossi spiega all’Adnkronos Salute che il flusso di richieste di questi certificati è continuo. “Siamo ancora intorno a 10-12 che firmo ogni settimana. Dunque oltre 500 l’anno” solo per mete come “Usa, Canada, Paesi arabi. E a volte Africa e Asia, aree queste ultime in cui ci sono perlopiù colleghi che vanno magari in missione”. Ma se si considera anche chi va in Paesi europei, “i numeri sono molto, molto più alti – dice Rossi – Specie se pensiamo a quanti si trasferiscono nei Paesi più gettonati, come Germania, Inghilterra, Olanda. Vuol dire che di medici in fuga, rispetto a quelli che posso vedere io sulla base delle carte che settimanalmente arrivano sulla mia scrivania, ce ne sono in realtà più del doppio”. Questo solo per l’Ordine di Milano, che conta quasi 28mila iscritti.

E “non è solo un fenomeno che riguarda i giovani. Continua anche più in là con l’età, a carico di professionisti affermati che evidentemente ottengono contratti più remunerativi all’estero, soprattutto per esempio in Paesi come gli Emirati Arabi Uniti o il Qatar dove i medici sono molto ben pagati”. Il problema di non sentirsi adeguatamente remunerati “in questo ultimo anno si è ulteriormente acuito – riflette il presidente dell’Ordine meneghino dei medici chirurghi e odontoiatri – Il potere dell’inflazione ha inciso tanto. Si vede un importante aumento dei costi che non viene minimamente compensato dagli stipendi. Questo genera rabbia e scoramento, per la consapevolezza di fare una professione che viene valutata poco da un punto di vista sociale ed economico”.

Questo problema “è enorme su tutti i fronti. A cominciare da quello ospedaliero – analizza Rossi – settore in cui si assiste anche a una fuga verso il privato dove, pur senza la stessa sicurezza del posto pubblico, le remunerazioni sono migliori. Basti pensare che un Capo dipartimento all’apice della carriera, che ha sotto di sé reparti in cui si fa medicina interventistica, con tutte le responsabilità gigantesche che ha e i guai legali che sono all’ordine del giorno, molto spesso ha una retribuzione intorno ai 4.500 euro più o meno, lontanissima da quella che è la media europea. All’estero poi la figura del medico è in linea di massima molto stimata, se vai in banca e chiedi un mutuo vieni considerato un professionista che guadagna adeguatamente e ottieni la disponibilità. In Italia la considerazione sociale verso i medici è sempre più bassa”. E vale anche per il territorio. “Anzi peggio – osserva Rossi – perché i medici di famiglia da alcuni vengono etichettati come ‘fannulloni ricconi’, senza tenere conto che il loro stipendio è ‘lordo’ e, al di là delle tasse che vanno sottratte, la cifra che rimane loro in tasca viene ridotta dalle spese che devono sostenere per pagare l’affitto dello studio, il personale e così via, essendo liberi professionisti. Ed è falso che lavorino solo 3 ore al giorno. Altrimenti non si spiega come mai questo lavoro vogliono farlo sempre meno persone. E poi, in generale, c’è la mole del contenzioso che è aumentata enormemente, il carico burocratico, le reazioni violente degli utenti”, elenca. Il numero uno dei camici bianchi meneghini si dice amareggiato anche perché “investiamo tanto per formare i medici e poi li costringiamo ad andare via, li regaliamo ad altri sistemi sanitari. Un conteggio del sindacato Anaao di qualche tempo fa suggeriva che è come se regalassimo tutti gli anni al resto del mondo l’equivalente di 1.500 Ferrari”.

Dall’altro lato poi ci sono ulteriori ‘ingiustizie’ che i camici bianchi che studiano nel nostro Paese e si impegnano per trovare un lavoro in strutture della Penisola si trovano a sopportare, aggiunge il presidente di Omceo Milano, che ha parlato di questo anche in un editoriale sul sito dell’Ordine. Rossi la chiama “la scorciatoia”: persone che “non superano il test di ammissione a Medicina in Italia, vanno a studiare fuori, magari in università con diversi standard formativi rispetto ai nostri, e poi cominciano subito a lavorare sfruttando una norma nata per l’emergenza pandemica, che permette nel nostro Paese il reclutamento temporaneo di professionisti in deroga”. Deroga i cui termini “sono stati portati fino al 2025” per fronteggiare la carenza di camici bianchi. “In sintesi – conclude – medici italiani o stranieri laureati all’estero possono, con una semplice domanda alle regioni, esercitare sul territorio italiano in barba a tutte le (altre) norme vigenti, creando di fatto un doppio binario. Ed è frequente che questa scorciatoia la usino proprio gli italiani che sono andati a laurearsi oltreconfine”.

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