Lombardia – Cè: Se avessero ascoltato il prof. Galli del Sacco! Giudicate voi la sanità che per farsi una mappa Covid fa fare i test solo a chi ha i soldi

7 Giugno 2020
Lettura 6 min

di Stefania Piazzo – E’ stato capogruppo leghista alla Camera negli anni della devolution, succedendo a Giancarlo Pagliarini. Medico chirurgo, è stato poi assessore alla sanità regionale lombarda nel terzo regno Formigoni. Mandato che non porterà a termine entrando in collisione con le scelte del Celeste e della stessa Lega.


Ora che la sanità lombarda mostra tutti i suoi nervi scoperti, Alessandro Cè, bresciano, classe 1955, un trascorso politico che ha attraversato anche il movimento Verso Nord di Massimo Cacciari, e il sostegno esterno al centrosinistra lombardo di Umberto Ambrosoli, osserva con disincanto e con spirito critico la Lombardia del Covid.

Alessandro Cè, ex assessore regionale lombardo alla sanità e capogruppo a Montecitorio della LeGa Nord sino al 2006, ai tempi del referendum per la devolution

E come non bastasse, arriva anche l’inchiesta di Report che parlerebbe di una donazione, “ma che nella realtà – scrive Il Fatto quotidiano – è diventata una procedura negoziata e quindi un affidamento diretto senza gara pubblica per mezzo milione di euro da parte di Regione Lombardia a una società di Varese riconducibile direttamente alla famiglia della moglie di Attilio Fontana”. Pronta arriva la smentita della Regione, che annuncia querela al quotidiano e che diffida Report dal divulgare informazioni diverse da quelle attestanti la donazione. Intanto resta sul tavolo la questione lombarda nella gestione Covid. 

Onorevole Cè, i fatti ci mostrano di fatto due Nord. Un Nord Est che ha reagito e intrapreso strategie di immediato contenimento, pur con criticità innegabili, e un Nord Ovest, in particolare quello lombardo, che è stato travolto. Perché due Nord?
“Ci sono due aspetti complementari. Uno è del sistema sanitario, come cioè la politica ha inciso sull’organizzazione sanitaria delle regioni. Lombardia e Veneto anche se avevano intrapreso un modello simile anni fa, poi si sono diversificate”.

La Lombardia ha spinto molto di più sulla ospedalizzazione, sul moltiplicarsi delle prestazioni?

“Esatto, Invece i Veneto ha considerato che il privato poteva avere un suo valore nel sistema, ma doveva rispondere a regole dettate dalla politica, in una strategia sanitaria che aveva al centro la presa in carico del paziente, dando rilevanza alle strutture territoriali. Mentre la Lombardia ha continuato aumentando la percentuale di sanità appaltata ai privati, che logicamente hanno come interesse quello di guadagnare. Ma non è una novità”.

In altre parole, il territorio non è stato messo al centro?
“E’ stato investito poco sul territorio, sulla medicina di base, sulla profilassi e prevenzione delle malattie, sui distretti sanitari.
Questa è la differenza sostanziale, il Veneto ha un modello sanitario basato sulla presa in carico del paziente e sul rafforzamento delle strutture territoriali, l’altro invece si è dimenticato di questo aspetto e ha spinto molto sul numero delle prestazioni erogate dagli ospedali, dalle case di cura private e sul numero delle prestazioni ambulatoriali”.

Troppo privato, troppo poco pubblico, onorevole Cè? Con quali effetti davanti all’emergenza?

“Un sistema così squilibrato dove il privato ha una quota molto rilevante, non è un sistema che ha come priorità l’assistenza sanitaria pubblica, e questo aspetto diventa ancora più evidente davanti alle emergenze. L’emergenza è stata accollata al settore pubblico, mentre la sanità privata si è andata a scegliere quei settori più redditizi, più remunerativi. Cosa accade quando c’è un’emergenza? Hai il territorio sguarnito, hai il 112 che è saturo, hai pochi laboratori di analisi, e scarichi sulle strutture ospedaliere pubbliche un peso non gestibile.
Fino all’8 marzo i privati hanno continuato a fare prestazioni programmate, senza assumersi l’onere, pur essendo accreditato privato, di rispondere adeguatamente all’emergenza. Ho detto tutto”.

Poi c’è stata la questione test. Perché due strade così diverse?

“Che ha fatto grandemente la differenza, è che Zaia, pur usufruendo di un modello migliore, ha fatto interventi da subito più saggi, ha ascoltato in particolare il dr. Crisanti che sul fronte pandemie aveva le idee molto chiare. La Regione Lombardia invece ha delle responsabilità di metodo: hanno fatto errori clamorosi, indipendentemente dal sistema. Non puoi davanti ad una pandemia, non distinguere, non imporre subito a tutti una distinzione dei percorsi sanitari! Questo lo sanno anche gli infermieri neolaureati. La prima cosa da fare nelle malattie infettive è separare i percorsi. E’ mettere tende esterne agli ospedali o utilizzare strutture per triage perché tutti i casi sospetti devono prima passare di lì. Non si possono far entrare le persone negli ospedali, altrimenti si va verso il disastro”.

Il contagio si è diffuso grazie alla mancata distinzione dei percorsi sanitari?
“E’ quello che è successo. Sono errori clamorosi, se ci si fosse attenuti ad alcune regole che dovevano essere suggerite dagli esperti, credo non sarebbe andata così. Se avessero ascoltato il prof. Galli del Sacco di Milano, dal primo giorno, non avremmo visto credo quello che si è poi consumato”.

I contagi delle persone a casa. Che giudizio dà sul trattamento?

“Ma quale trattamento! Altro aspetto che si lega molto alla questione dell’organizzazione territoriale è che le persone stavano male. Erano magari a casa, chiamavano il 112 ma il servizio come poteva fare una diagnosi a distanza? Il punto è che sono mancate a mio parere le indicazioni di confinamento sui casi sospetti”.

Ma sul territorio chi doveva monitorare?

“Dovevano esserci delle task force fatte da medici di medicina generale o dalle Unità speciali di continuità assistenziale, coadiuvate dal sistema di assistenza-urgenza del 112, non c’è stato un coordinamento. Le persone a domicilio dovevano essere diagnosticate. Invece cosa è successo? Tutti dicevano non andate in ospedale… Intanto chi era positivo contagiava a sua volta tutti i familiari, i loro vicini di casa e poi siccome non ricevevano risposte, andavano negli ospedali. Tombola”.

La Lombardia con la riforma Maroni ha creato le Ats. Che giudizio ne dà?

“A monte c’è stata un’altra debalce totale: le Agenzie di tutela della salute, le Ats, della riforma Maroni del 2015. Dovrebbero monitorare la diffusione delle malattie, attraverso dei sistemi di allerta con eventi sentinella. Cosa hanno fatto? Possibile non ci siano state comunicazioni già a gennaio di polmoniti atipiche da parte dei medici di base?
Le Ats avrebbero dovuto a loro volta coinvolgere la Regione per dire: attenzione! C’era già la concomitanza di questa patologia in Cina! Magari la diagnosi era difficile ma si poteva allertare…
Il sistema di prevenzione della trasmissione delle malattie ha funzionato? I dati direbbero il contrario. Al punto che ci si chiede: ma a cosa servono le Agenzie di tutela della salute se non svolgono questo compito?”.

Quando è scoppiato il caso di Codogno, in Lombardia secondo lei c’erano già altri casi?

“Probabilmente c’erano già molti casi. Con gli errori successivi abbiamo avuto una diffusione enorme del contagio. Il Veneto, invece, avendo un migliore sistema di monitoraggio territoriale, è stato capace in tempo reale, di mettere in atto tutte le attenzioni del caso.
Se a questo aggiungiamo il caso Nembro, Alzano, e la delibera sulle rsa….”.

Oggi c’è la polemica sulle competenze tra le varie regioni e tra le regioni e lo Stato. Chi ha ragione?
“Le rispondo così, con una debita premessa. E’ normale che davanti alla scarsità di test immunologici si possa pensare, come ha fatto la Lombardia, di renderli disponibili al privato a pagamento e non utilizzarli invece in via prioritaria per finalità di salute pubblica?
Non hanno messo a disposizione i test per tutte quelle persone che sono sul fronte oggi e lo sono state negli ultimi due mesi e mezzo: tutto il settore sanitario, tutto il settore sociale, dei trasporti… degli esercenti… invece no! Era la strategia minima: test immunologico alle persone a rischio e poi cercare i contatti e garantire i tamponi a chi era positivo. Noi oggi rischiamo di non avere sotto controllo la situazione in Lombardia, abbiamo un numero basso di tamponi, fatto in maniera non randomizzata da un punto di vista statistico e del rischio reale. Tamponi a caso sulla base di chi può permettersi di pagarsi il tampone! E’ folle.
Vengo alla sua domanda. I danni non sono solo relativi alle sorgenti di maggiore contagio, ma sono casuali. Possiamo avere quindi più contagiati di quelli che risultano. Non è bello che le regioni si chiudano alle altre regioni, però la Lombardia non so se è pronta come le altre”.

Mascherine. Introvabili perché?
“La colpa si può ripartire tra Roma e Milano. Ma a livello regionale, c’era una scorta veramente esigua. L’emergenza urgenza per definizione per essere contrastata si valuta nel giro di pochi giorni! Se si sbaglia la prima settimana, poi arrivano i disastri. Se mandi gli operatori negli ospedali e non sai garantire nella prima settimana i dispositivi di sicurezza ai medici, è ovvio che il personale diventa la prima fonte di contagio. E a loro volta i sanitari contagiati quanti contagi hanno causato?”.

Un solo virus dunque, non possiamo parlare di un caso Lombardia con un Covid diverso?
“Se Veneto, Emilia, Piemonte, Lombardia, avessero avuto lo stesso disastro, allora avrei parlato anche di inquinamento ambientale, che non è un tema marginale nella diffusione.
Però è talmente evidente la differenza tra Veneto e Lombardia, che risulta cocente la differenza sia nel modello organizzativo che negli errori della classe dirigente lombarda.
Errori marchiani, colossali, sarebbe stato sufficiente ascoltare qualche persona competente e umilmente seguirne le indicazioni.
Quello delle rsa è stato incredibile. Ma hanno verificato se vi fossero padiglioni separati e personale completamente distinto?
Gaffe su gaffe… e disorientamento… Però, tirando le somme, la cosa più grave è che la politica non è stata in grado di riformarsi”.

In apertura immagine istituzionale tratta dal sito del ministero della Salute, salute.gov.it

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