L’INTERVISTA – BOSSI: “Ora il Nord deve muoversi”

10 Agosto 2020
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Gemonio – di Stefania Piazzo – “Perché il Nord deve muoversi? Perché tutto è rimasto come un tempo”, ci dice Umberto Bossi, e annotiamo sul taccuino. Nella cucina di Gemonio la tv manda in onda un concerto dei Rolling Stones, è una delle tappe del tour in America Latina. E’ la prima volta che si sdogana il rock nei perimetri delle dittature sudamericane. Bossi, ascolta e va a ritmo battendo le dita della mano sul bracciolo della poltrona. Di sdoganamenti lui d’altra parte se ne intende. Ha saputo irrompere nella scena della prima repubblica sdoganando la Padania, la secessione, ha fatto una dichiarazione di indipendenza… Persino Paolo Guzzanti nella cruda recente descrizione del confronto tra Salvini e Bossi, di quest’ultimo ha detto: volete mettere il Senatur, lui sì è un figo. Un figo della politica, carismatico negli errori e nelle intuizioni. Il primo rottamatore del vecchio sistema, innovando la comunicazione, il linguaggio politico. E dando dignità politica alla canottiera.

Oggi invece gli smontano la Lega. Ma il senatur non tocca palla, non interviene nella polemica. No comment su Salvini. No comment sulle acque agitate sulla Lega Nord commissariata da Igor Iezzi. Igor Iezzi erede, liquidatore di 30 anni di Bossi? No comment di Bossi. No comment sul simbolo richiesto da Gianni Fava per le amministrative.

Come un arbitro silenzioso, Bossi però lancia un messaggio in bottiglia parlando per la prima volta a la Nuova Padania.

Quando interrompiamo il suo tamburellare musicale sul divano per chiedergli: Come vede la situazione politica e che fine farà il Nord senza più la Lega, lui ci risponde così: “Il Nord deve muoversi. E perché il Nord deve muoversi? Perché tutto è rimasto con un tempo”.

Dopo 30 anni, la rappresentanza politica della sua Padania è stata politicamente modificata. La Lega salviniana nasce come partito dell’unità d’Italia, partito del Sud. Quella di Bossi è nata federalista, partito di sindacato del Nord. Cambiano i tempi e Bossi fa spazio alla riflessione.

Senatur, oggi sembra non interessare più alla politica la questione settentrionale. Come mai?

“Eh…. Togliendo lo spauracchio della secessione, non c’è più l’arma che spaventa, che tiene vivo il dibattito. E’ stata una fase importante, strategica perché Roma non ci ascoltava. Poi hanno neutralizzato anche la spinta federalista, la nostra devolution, e oggi il Nord viene barattato per i voti al Sud. Io dico che occorreva non avere paura di continuare a tenere alta la bandiera della questione settentrionale, anche se poi ti attaccano. E quando ti attaccano, ti lasciano tutti. E’ quello che è capitato a me. I lombardi hanno paura. Io no…”.

Il Nord avrà un futuro senza più la Lega?

“Il Palazzo non ti dà niente, l’autonomia non te la vogliono dare, e si vede. Ma non è motivo per interrompere la battaglia. Le ragioni del Nord sono vive e non sono cambiate. Il Nord fa ancora paura a Roma, senza la Lombardia e il Veneto l’Italia non è ricevuta da nessuno, non pesa economicamente, politicamente, commercialmente. Dove ci sono Lombardia e Veneto invece si vince”.

Perché decise di fondare la Lega?

“Io fondai la Lega per più motivi, oggi ancora attuali.

Il primo: c’era un problema reale di rappresentanza di un territorio nelle istituzioni, due Italie con esigenze diverse, velocità diverse, una politica marcatamente assistenziale che non dava frutti. Il Nord era già in Europa, ma Roma guardava a Sud. Come oggi.

Il secondo: perché questo motore a trazione europea, doveva uscire dall’isolamento, a partire dalle infrastrutture che impedivano alla zona pedemontana di veicolare le merci, l’economia, rendendo difficile il garantire manodopera nell’area più produttiva della Padania, che così importava braccia a basso costo, prima dal Sud e poi dall’immigrazione.

Il terzo: per dissequestrare il Nord che stava per finire nelle mani della mafia, della camorra, della ‘ndrangheta. Dopo i soggiorni obbligati, ci trovammo a fare i conti con i sequestri, con le infiltrazioni malavitose. Il Nord doveva reagire, e cacciare via i corpi estranei della criminalità organizzata, dovevamo creare gli anticorpi e l’anticorpo era la Lega, nemico delle mafie”.

Oggi l’abolizione delle province, il taglio continuo dei trasferimenti agli enti locali ha creato danni e fermato la manutenzione di molte opere. Come fa il Nord ora a competere?

“Torno ad una delle ragioni per cui è nata la Lega. Le infrastrutture! Dare risposte politiche ad una Ferrari su strade dissestate. Dicevano che al Nord non c’era manodopera? Che le imprese non potevano correre per competere? Il problema era rompere l’isolamento, aprire le strade, togliere gli ostacoli che impedivano alla zona pedemontana di raggiungere la Lombardia occidentale. La svolta ci fu quando incaricai Roberto Castelli, viceministro alle Infrastrutture nel secondo governo Berlusconi. Fu così che sbloccammo l’avvio della BreBeMi, la Pedemontana, che si ruppe l’isolamento della Valseriana, della Valtellina. Giulio Tremonti mi aiutò in questo progetto. Bergamo, Brescia e Sondrio non erano più isolate. Ma passava il principio che i territori devono avere dignità, e il lavoro non deve venire dallo Stato che assiste, come accade ancora oggi al Sud, che vive nella speranza che sia lo Stato a portare le fabbriche. E’ piuttosto l’economia che deve essere liberata dai blocchi di una burocrazia arroccata che dispensa favori in cambio di voti”.

Il Nord oggi ha un’altra emergenza, è vittima della piaga mafiosa. Non è stata tenuta alta la guardia?

“La Lega delle origini ha sempre combattuto la mafia, e pure lo Stato nelle sue pieghe dove si è annidata la corruzione. La mafia e lo Stato sono spesso quasi un tutt’uno. Hanno lo stesso progetto: la mafia non vuole le fabbriche al Sud, non vuole una società moderna, vuole controllare l’economia e gestire la povertà. La malamministrazione pubblica fa altrettanto. Oggi servirebbe un’altra Lepanto, per sconfiggere quella mentalità di conquista, che vuole assoggettare un popolo a costumi e leggi che non appartengono alla nostra storia. Per fortuna la flotta cristiana fermò un disegno di conquista che avrebbe cambiato il corso della storia e dell’Europa. La vede quella campana in salotto? Ha due fori da archibugio, suonò nella battaglia di Lepanto ed era nella flotta di Giovanni d’Austria. Quanto davano fastidio i suoni delle campane al nemico”.

Per chi suona oggi la campana? Bossi se la ride, la tv non dà più i Rolling Stones. C’è la vita della Callas. Che dire, un mito politico in salotto che guarda altri miti. E’ musica, di tempi immortali.

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
La Nuova Padania, quotidiano online del Nord.
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