Libro “nero” di Report sul Covid. Sottovalutazioni, dati fantasma. Cosa è veramente accaduto nel pieno della pandemia?

10 Novembre 2021
Lettura 6 min

 La task force del ministero della Salute avrebbe a lungo sottovalutato l’emergenza Covid, anche dopo il 31 gennaio 2020, quando già in Italia era stato dichiarato lo stato di emergenza. E’ quanto si legge ne “La grande inchiesta di Report sulla pandemia” (350 pagine, 19 euro) di Cataldo Ciccolella e Giulio Valesini da giovedì 11 novembre in libreria per i tipi di Chiarelettere. “Nei primi giorni di febbraio, durante una riunione della task force, il viceministro Sileri – raccontano gli autori -, appena rientrato da Wuhan – la città cinese ormai tristemente nota a tutti come focolaio della pandemia -, aveva messo in guardia sui pericoli del virus, ma a noi ha rivelato: ‘A un certo punto, un autorevole componente della task force, si gira verso di me e con le mani sulle parti basse, in maniera plateale, davanti a tutti esclama: ‘A Sile’, e nun porta’ sfiga!”.

Nelle anticipazioni di Adnkronos, si legge che Ranieri Guerra avrebbe condiviso “con Tedros, in un rapporto di missione del 16 marzo 2020, le sue perplessità sia sulla scarsa preparazione italiana in termini di prevenzione delle infezioni, sia sulla guidance offerta ai medici di base, sia sull’incapacità di attivare strumenti di Digital Health, che pure abbiamo. Tutte cose che un piano aggiornato avrebbe potuto contemplare e applicare. Dunque, alla fine dei giochi, Guerra la pensava in modo molto simile a Zambon”.

“Nel suo libro”, – sottolineano gli autori Ranieri Guerra avrebbe snocciolato un lungo elenco di errori commessi dall’Italia. “In cima alla lista, la perdita di tempo di chi doveva decidere. Tra gennaio e febbraio non era stato attivato il piano pandemico vigente, né era stato subito integrato con misure specifiche contro il Covid”. L’Italia avrebbe scelto di attivare a fine gennaio un piano specifico scritto ex novo contro il Covid, “frutto degli scenari elaborati da Merler. È sempre lo stesso equivoco, aggiungiamo, documenti alla mano: quel piano non fu mai attivato. Dai verbali del Cts sappiamo che fu ultimato ai primi di marzo….”. 

Poi un colpo di scena.

“Dentro al ministero della Salute, Sileri sembra essere un corpo estraneo, tollerato più che coinvolto. Tra gennaio e febbraio del 2020 mandava e-mail per chiedere del piano pandemico e per avere i dati sulle polmoniti anomale, nelle riunioni della task force chiedeva i ventilatori polmonari, ricevendo risposte imbarazzanti. E sono arrivate anche le minacce e la voglia di mollare tutto”.

“Ce lo ha confessato – raccontano gli autori, sempre che non vi siano smentite del diretto interessato – in un torrido pomeriggio di giugno 2021, quando lo abbiamo incontrato, circondato dal suo staff, e ci ha accolti nel suo ufficio, al quarto piano di Lungotevere Ripa”. Poi le parole di Sileri: “Più volte mi è stato detto – anche al mio capo segreteria [Francesco Friolo annuisce] – di non rompere troppo le scatole… direttamente, in modo esplicito, e indirettamente con messaggi che dicono: ‘Devi stare attento, tu hai un lavoro, sai, uno a certe cose deve anche adattarsi…’. Ho fatto sempre presente che il mio lavoro, grazie a Dio, è un altro e che indipendentemente da quello che dico e faccio, nel mio lavoro [di chirurgo, nda] contano le mie mani. L’importante è che salvo le persone e opero bene… e quindi me ne infischio”. “Davvero lei ha subito minacce?”, chiedono gli autori. E si legge: “Mi è stato detto chiaro e tondo che se continuavo a rompere le scatole – e rompere le scatole per me è stato dire acquistate, acquistate, acquistate! Fate, fate, fate! Ma non venivo ascoltato – sarebbero usciti dei dossier contro la mia persona e contro il mio capo segreteria”, la risposta di Sileri, “che ha preferito non fare il nome di chi lo avrebbe minacciato”.

Davvero è andata così? Cosa è accaduto nelle stanze del ministero nei mesi caldi della pandemia?

Al ministero della Salute, si legge ancora, non avrebbero avuto “la contabilità delle polmoniti recenti: le polmoniti di fine 2019 non sono state contabilizzate fino a maggio 2020, quando il primo traumatico lockdown era già finito e trentamila persone erano già decedute. A Report siamo riusciti a ottenere della documentazione interna molto eloquente: ci chiediamo se questo testo non possa essere l’interruttore che farà scattare nella Procura di Roma un certo interesse nei confronti del tema”.

Era il 26 febbraio 2020, ricostruiscono gli autori, quando la segreteria del viceministro Sileri si sarebbe messa in contatto con l’Ufficio prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale, guidato da Francesco Paolo Maraglino chiedendo via mail “i dati relativi al numero dei ricoveri a seguito di polmonite nelle regioni indicate per i mesi di gennaio e febbraio 2020”.

Si legge che “La prima risposta doveva essere sembrata poco esaustiva a Sileri, che tramite il suo segretario Francesco Friolo tornò alla carica, rincarando la dose. Il 9 marzo scrisse direttamente al segretario generale del ministero della Salute Ruocco, chiedendo i dati del 2019 che, si supponeva, fossero già messi a registro: ‘Preg.mo segretario generale, il viceministro è rimasto perplesso del tempo impiegato per fornire una ‘non risposta’ come quella pervenuta. Detto questo, il viceministro attende cortesemente l’invio dei dati relativi al numero dei ricoveri a seguito di polmonite nelle regioni Lombardia/Veneto per tutto l’anno 2019, attendendo inoltre, nella giornata del 16 marzo, i dati riguardanti il mese di gennaio 2020.

Secondo Report questo sollecito da parte dell’ufficio di Sileri avrebbe fatto arrabbiare Ruocco, che avrebbe a sua volta incalzato il direttore Maraglino con un’email a caratteri cubitali: “MANDATE QUEI DATI A SILERI!!!!! fateli girare GR” Ebbene, si legge, “il 19 marzo una risposta arrivò”, ma “ciò che il viceministro e il suo staff scoprirono quel giorno fu che i dati non c’erano e ci sarebbero voluti ancora due mesi, fino al 23 maggio, per avere una risposta più comprensiva, il cui succo però sarebbe stato che non c’erano numeri completi nemmeno per l’anno precedente”. Insomma, “eravamo a metà marzo e nessuno aveva davvero il polso della situazione, contro ogni linea guida dell’Oms e contro l’impegno internazionale dell’Italia a mantenere la capacità di risposta a eventi pandemici”.

 “Mentre la task force viveva il momento ancora con una certa leggerezza, sottostimando la pericolosità del Covid, arrivò un nuovo alert, questa volta della Protezione civile. Era il 3 febbraio 2020, e le ultime notizie dalla Cina avrebbero dovuto far rabbrividire tutti: ‘PROTEZIONE CIVILE È stata individuata una seconda città in quarantena, Wenzhou, che conta 9 milioni di abitanti, dalla quale proviene il 90 per cento degli immigrati cinesi in Italia. Per questi, al momento non c’è stata alcuna richiesta di rimpatrio'”.

E’ quanto si legge sempre ne “La grande inchiesta di REPORT sulla pandemia”. “Wenzhou, la città da cui proviene il novanta per cento degli immigrati cinesi in Italia, era stata messa in quarantena – sottolineano gli autori – Si sarebbe potuto già pensare che, se il Coronavirus era dilagato a Wenzhou e nello Zhejiang, allora poteva essere già arrivato in Italia da qualche settimana; l’alert della Protezione civile avrebbe potuto essere una spia utilissima per attivare misure di prevenzione in loco, nelle nostre città, e non solo limitazioni di facciata alle frontiere aeroportuali”. “A emergenza internazionale ormai dichiarata, lo stesso 3 febbraio, il direttore dello Spallanzani Giuseppe Ippoliti- secondo Report, avrebbe rassicurato tutti i presenti alla riunione della task force prevedendo l’attenuazione del virus. Silvio Brusaferro e Giovanni Rezza, che nel frattempo era diventato il direttore generale della Prevenzione al ministero al posto di D’Amario – si legge, come riporta Adnkronos, avrebbero spiegato che si sarebbe trattato di ‘dati sono sovrapponibili a quelli dell’influenza’, che faceva morti senza fare notizia. Insomma, era tutta colpa, come al solito, di giornalisti esagerati che creano inutili allarmi”, aggiungono gli autori.

 “Nuove battaglie si profilano già all’orizzonte” e “il tempo di prepararsi è adesso. Perché questo libro sia utile dobbiamo poter identificare quella che potrebbe diventare la prossima minaccia: si tratta dei batteri resistenti ai farmaci, e per organizzare la controffensiva occorre capire che cosa abbiamo sbagliato con il Covid-19”.

Secondo gli autori, su questo fronte, “in Italia, il risultato in costi umani è di circa 11.000 morti all’anno, soprattutto fra pazienti fragili o deboli che contraggono le cosiddette ‘ica’ – le infezioni correlate all’assistenza – negli ospedali, nelle rsa, negli ambulatori e in altri ambienti simili. In Europa si stimano 700.000 infezioni antibiotico-resistenti e 33.000 morti ogni anno. Insomma, l’Italia conta circa un terzo di tutti i decessi europei, un campanello d’allarme che deve essere messo in relazione, pur con tutte le differenze rispetto al virus, con l’impreparazione che abbiamo sperimentato nei confronti del Sars-CoV-2. Basti pensare che una delle risposte più efficaci è la corretta igiene delle mani, che richiede l’approvvigionamento e la fornitura di dispenser di gel alcolici. Eppure, fino al 2020, quei dispenser non erano così ben diffusi e utilizzati nelle strutture di cura come oggi. Si stima che, in confronto ad altri paesi, una delle cause della più alta mortalità in Italia fra i pazienti Covid ospedalizzati sia proprio la presenza di fenomeni di amr (dall’inglese antimicrobial resistance, resistenza antimicrobica) nei luoghi di cura”.

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