La Repubblica degli Bla Bla Bla: i politici che non pagano mai per i loro errori

10 Aprile 2020
Lettura 2 min

di Giuseppe Longhin – Il problema del rapporto fra “il saper fare” e la politica non è diverso dal problema del rapporto fra “il saper fare” e tutte le altre attività dell’uomo. Per cui si parla abitualmente del saper fare in economia, con i grandi capitani di industria; del saper fare in medicina, con i grandi professori; del saper fare sport, con i grandi campioni e via dicendo.

Si tratta, in tutte queste diverse sfere dell’attività umana, sempre dello stesso problema: la distinzione fra ciò che viene fatto bene e ciò che viene fatto male. La questione del saper fare si pone in tutti i campi della condotta umana, ma quando viene posta nella sfera della politica assume un carattere particolarissimo. In tutti gli altri campi si valuta in base ai risultati: l’imprenditore dal successo della propria azienda, il medico dalle scoperte scientifiche o da come guarisce i propri pazienti, lo sportivo da quanto e come vince.


Quando si parla del saper fare riguardo la politica, invece, ci si riferisce soprattutto a due cose.

La prima: quanto il politico di turno abbia gradimento, prima sui social e poi con il voto, in base a quello che dice. Badate bene, non a quello che fa o che ottiene ma per quello che promette, agli intenti, al farò se… E mentre l’imprenditore deve organizzare, gestire, controllare ed arrivare al risultato; il medico deve studiare, far pratica ed operare; lo sportivo deve allenarsi e vincere; il politico…deve parlare. Non viene giudicato il concreto ma l’astratto.

Se lo sportivo perde ha perso, il politico è stato frainteso. Se l’imprenditore fallisce è finito, il politico cambia progetto. Se il medico sbaglia e uccide il paziente è un assassino, il politico ha sperimentato.

La seconda: l’onestà. Quando si tratta, ad esempio, di curare i propri malanni o sottoporsi a un’operazione chirurgica, nessuno chiede un onest’uomo ma tutti chiedono e cercano medici e chirurghi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina o in chirurgia. Nelle cose della politica, invece, non si richiedono uomini politici, uomini cioè che sappiano fare il loro bravo mestiere di politici, ma onest’uomini.


Queste due cose, il saper piacere e l’essere onesto, hanno fatto si che l’attuale classe politica sia costituita da grandi oratori con stuoli di ammiratori ma con nessuna particolare capacità.
La politica non dovrebbe essere la sola, seppur fondamentale, amministrazione della cosa pubblica che tanti bravi amministratori sanno fare, ma la visione del futuro, la capacità di prevedere e di garantire il benessere della collettività. Poi c’è il danno collaterale non indifferente delle nomine dei politici che non sanno fare: i loro direttori generali, gli uomini collocati nei punti più alti dei consigli di amministrazione… Tutti capaci? Lungimiranti?


E come la Storia ci ha sempre insegnato, nei momenti difficili, e ne stiamo vivendo uno tremendo, emergono i leader. E i leader sono diventati i medici e il settore sanitario, i sindaci e gli amministratori locali, gli imprenditori, i volontari di decine di associazioni. Non i politici che, incapaci di visione, hanno cercato di rincorrere le soluzioni ai problemi da loro stessi creati e di scaricare le colpe all’avversario.

La nostra classe politica è stata in grado solo di convocare quotidianamente conferenze stampa sommergendoci di dati contraddittori a seconda del colore politico rappresentato.
Come per la Glass-Steagall, che divide banche commerciali da banche d’affari, anche la politica dovrebbe dividere gli amministratori dagli statisti. Oggi c’è più che mai bisogno d’intelligenza e di passione, di milizia etico-politica, oggi c’è bisogno più dell’ira che della mitezza. Un paese senza una classe politica può andare solo verso una pericolosa colonizzazione economica ed intellettuale e, svuotato di tutto il suo essere, non muore, ma si frantuma e si azzera.

Photo by Stephen Walker

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