di Stefania Piazzo – Il Pnrr, dicono, è la grande occasione per colmare il gap tra Nord e Sud. Lo dicevano anche con la Cassa del Mezzogiorno e con i piani straordinari per il Sud che si sono susseguiti dall’inizio della storia repubblicana in Italia.
La Cgia di Mestre nell’ultimo report sull’evasione fiscale, che riproponiamo qui sotto integrale, mostra una fotografia che non cambia da decenni e che vede due Italie a confronto. Con un ministero dell’Economia, scrivono gli artigiani di Mestre, che non la racconterebbe giusta poi sull’evasione degli autonomi, con calcoli definiti senza mezza misura “inattendibili”.
Resta invariata la quota di tasse non pagate o pagate a babbo morto nel mezzogiorno, con numeri più che imbarazzanti, sconvolgenti, ma che non sconvolgono la classe politica, che commisera solo e sempre una parte del paese dicendo che occorre investire lì per il rilancio. Con i soldi, ovviamente, di chi le tasse le paga.
La questione settentrionale che 30 anni fa ha fatto esplodere la Lega Nord oggi non scalda invece più gli animi.
D’altra parte la Lega si è meridionalizzata, la corsa al Sud è stata fatta per i voti, non per bonificare una società e una classe politica che conserva questo sistema che rende vani i Pnrr e i fondi mal o per niente spesi al Sud concessi dall’Europa.
La “qualità” della burocrazia, la rassegnazione davanti ad una amministrazione bradipa, e il resto che sappiamo, sono quel paese reale che cannibalizza se stesso.
L’amico Riccardo Pozzi, in un commento sagace sui social, scrive:
“Chi oggi continua a votare Lega ritenendosi ancora autonomista o federalista si comporta come chi, volendo andare sulla luna, sale su una scala per fare un passo nella giusta direzione.
I vessatori delle regioni produttive del nord non arrivano con i barconi ma sono già presenti in loco e i loro galoppini abitano le terrazze della capitale”.
Riccardo, scrittore e osservatore del mondo padano, dà un nome alle cose. La Lega non più.
La pantomima dell’autonomia, il silenzio dei governatori del Nord su queste questioni, il loro tiepidismo, figlio del quieto vivere per non toccare il potere salviniano, non scalfirlo, è lì da vedere. Capitani non coraggiosi…
Sì muove qualcosa. Autonomia e libertà, con Roberto Castelli, genera eventi a Ponti sul Mincio e sul Monviso e apre al confronto con De Luca, fondatore di Sud chiama Nord. Roberto Marcato in Veneto agita le acque e genera aspettative. Il Comitato Nord voluto da Umberto Bossi ha tentato di svegliare gli animi. Grande Nord da tempo rivendica la centralità della questione settentrionale e partecipa alle convention degli amministratori di Sud chiama Nord dello stesso De Luca. Liste civiche sui territori decretano che i partiti sono diventati inadeguati a rappresentare i territori e i riscatti dalla politica cettolaqualunquista di Roma. Le prossime europee vedranno nascere qualcosa di diverso?
Per ora ci leggiamo i dati della Cgia di Mestre, per tenere viva l’incazzatura e non smettere di pensare ad un futuro diverso.
A seguito dell’attività di controllo effettuata dalla Guardia di Finanza, l’anno scorso sono state denunciate all’Autorità Giudiziaria per violazioni penali tributarie 14.045 persone, di cui 290 sono state arrestate. In buona sostanza, il due per cento dei soggetti denunciati è finito in carcere. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato i dati della Corte dei Conti. Analizzando la serie storica, dal 2011 emerge che il numero assoluto dei denunciati è rimasto pressoché stabile, mentre gli arresti, dopo il minimo storico toccato nel 2016 (99), hanno raggiunto il picco massimo nel 2021 (411), per poi scendere di 121 casi nel 2022 (290). Se, invece, prendiamo in esame l’incidenza degli arrestati sul totale denunciati, la percentuale ha ricominciato a salire nel 2016 (0,9 per cento) per arrivare alla soglia massima nel 2020 e nel 2021 (in entrambi gli anni il 3 per cento), per poi diminuire di un punto nel 2022 (2 per cento) (vedi Tab. 1).

No ad uno Stato di polizia tributaria, sì a un fisco più giusto
Sia chiaro, la lotta all’evasione passa anche attraverso l’azione repressiva che, nei casi previsti dalla legge, deve portare all’arresto di chi si rende responsabile di questi reati. Purtroppo, così come ha avuto modo di segnalare la Corte dei Conti, fino ad ora non siamo stati in grado di “misurare” l’efficacia di questa attività punitiva. Infatti, non esiste alcuna analisi realizzata dall’Amministrazione fiscale o dal ministero della Giustizia in grado di valutare ex post gli effetti prodotti dall’azione repressiva del nostro fisco sia per quanto concerne le risorse recuperate sia in ordine alla deterrenza esercitata. Tuttavia, segnalano dall’Ufficio studi della CGIA, in Italia non abbiamo la necessità di istituire uno Stato di polizia tributaria per combattere l’evasione. Insomma, determinati con chi è completamente sconosciuto al fisco, altrettanto decisi nei confronti di coloro che, sebbene “targati”, fanno i furbi, senza comunque essere costretti ad inasprire la disciplina penale tributaria con l’intento giustizialista di gettare in galera gli evasori e buttare la chiave. Almeno fino a quando non ci verrà dimostrato, con dati alla mano, che il ricorso alla pena restrittiva della libertà personale risulti essere uno strumento in grado di dissuadere le persone a non fare il loro dovere fiscale e a recuperare le somme evase. Nel frattempo, riteniamo che per ridurre l’infedeltà fiscale e allinearci agli standard dei paesi europei meno interessati da questo fenomeno sia auspicabile mettere a punto in tempi rapidi un fisco meno aggressivo, più semplice, più trasparente e più equo, premiando chi produce, chi crea occupazione e genera ricchezza. Garantendo, allo stesso tempo, un gettito sufficiente a far funzionare la macchina dello Stato e ad aiutare chi si trova in difficoltà.
L’evasione è in calo
A conferma di quanto appena detto, anche grazie a un leggero calo della pressione fiscale, nel 2022 l’Amministrazione finanziaria ha recuperato dalla lotta all’evasione oltre 20 miliardi di euro. Questo dato, annunciato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) nei mesi scorsi, è l’ennesima dimostrazione che negli ultimi anni la lotta contro
l’infedeltà fiscale sta dando i suoi frutti. Tra il 2015 e il 20203, ad esempio, le imposte evase in Italia sono scese di 16,3 miliardi di euro.
Sebbene il 2020 sia stato un anno molto particolare a causa della pandemia, il tax gap stimato dal MEF è sceso a 89,8 miliardi di euro; di cui 78,9 sono ascrivibili al mancato gettito tributario e gli altri 10,8 miliardi sono il “frutto” dell’evasione contributiva.
Applicando al valore aggiunto sommerso un coefficiente determinato dal rapporto del gettito fiscale e il valore aggiunto desumibile dalla contabilità nazionale al netto dell’economia non osservata, l’Ufficio studi della CGIA è riuscita a calcolare anche l’evasione a livello regionale. In buona sostanza, a fronte di 90 miliardi di evasione fiscale all’anno, è come se a ogni 100 euro di gettito incassato dal fisco, comunque ne venissero evasi 13,2. Se la stessa simulazione la riproduciamo a livello regionale, la situazione più critica la scorgiamo nel Mezzogiorno: nella
classifica di euro evasi ogni 100 euro incassati, in Puglia gli evasori se ne trattengono 19,2 euro, in Campania 20 e in Calabria, maglia nera d’Italia, 21,3. Si tratta di cifre doppie rispetto a ai 10,6 euro che si registrano in Friuli Venezia Giulia, ai 10,2 euro in Provincia di Trento e ai 9,5 euro in Lombardia. Il territorio nazionale più fedele al fisco è la
Provincia di Bolzano che presenta un’evasione di soli 9,3 euro ogni 100 incassati (vedi Tab. 2).

Le stime “inattendibili” del MEF. Gli autonomi, almeno al Nord, non sono gli “affamatori del popolo”
In materia di evasione fiscale, spesso gli organi di stampa e molti autorevoli opinionisti citano i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF)4 che stimano in quasi 90 miliardi di euro il tax gap delle entrate tributarie e contributive presenti nel Paese. Entrando nel dettaglio di questa analisi, la tipologia di imposta più evasa sarebbe l’Irpef in capo al lavoro autonomo, per un importo pari a 28,3 miliardi di euro che corrisponde ad una propensione al gap nell’imposta che da anni sfiora stabilmente il 70 per cento. Questo vuol dire, secondo gli estensori di questa elaborazione, che poco meno del 70 per cento dell’Irpef non sarebbe versata all’erario dai lavoratori autonomi. Non entriamo nel merito della metodologia di calcolo utilizzata, alquanto arzigogolata, ma ci limitiamo a dimostrare l’ “inattendibilità” di questo contare che durante questa fascia oraria deve rapportarsi anche con i clienti, con i fornitori, con altre aziende, con il commercialista, con la banca, con l’assicurazione e come tutti i comuni mortali può infortunarsi, ammalarsi, etc., etc.?
Ovviamente, nessuno può nascondere che anche tra i lavoratori autonomi ci siano delle sacche di evasione che vanno assolutamente debellate. Tuttavia, le stime messe a punto del MEF non convincono, anche alla luce del fatto che non includono il tax gap riconducibile agli autonomi esclusi dal pagamento dell’Irap. Vale a dire quelli in regime dei “minimi” (quasi 2 milioni di soggetti), una buona parte delle imprese agricole, i professionisti privi di autonoma organizzazione e il settore dei servizi domestici.
Complessivamente siamo parlando di ben oltre la metà dei lavoratori indipendenti presente nel nostro Paese. Ebbene, se fosse considerata anche l’evasione di questi ultimi, che picco toccherebbe l’evasione degli autonomi? E’ evidente che questi dati sono poco “attendibili”, ma quello che è altrettanto insopportabile che molti organi di stampa e parecchi opinionisti radical chic utilizzino queste stime per accusare gli autonomi di essere “brutti, sporchi e cattivi”; ovvero, i nuovi “affamatori del popolo”. Non pagano, quindi le ambulanze non hanno la benzina per correre, le scuole sono costrette a chiudere, etc., etc.
La mappa dell’evasione: forte divario Nord-Sud
Nel 2020, ultimo dato disponibile, il peso dell’economia non osservata sul valore aggiunto nazionale era all’11,6 per cento, pari a 174,6 miliardi di euro. Di quest’ultimo importo, l’economia sommersa era pari risultato. Secondo le dichiarazioni dei redditi dei lavoratori autonomi in contabilità semplificata del Nord (praticamente artigiani e commercianti) hanno dichiarano mediamente 33 mila euro lordi nell’anno di imposta 2021. Segnaliamo che oltre il 70 per cento di queste partite Iva è composto dal solo titolare dell’azienda (in altre parole lavora da solo). Bene. Se, come sostiene il MEF, queste attività evadono quasi il 70 per cento dell’Irpef, quanto dovrebbero dichiarare se fossero ligi alle richieste dell’erario? Il 130 per cento in più, ovvero poco più di 76 mila euro all’anno. Ora, come possono “raggiungere” nella realtà una soglia di reddito così elevata se la stragrande maggioranza lavora da solo, quindi è poco più di un lavoratore dipendente, e al massimo può lavorare 10-12 ore al giorno, senza contare che durante questa fascia oraria deve rapportarsi anche con i clienti, con i fornitori, con altre aziende, con il commercialista, con la banca, con l’assicurazione e come tutti i comuni mortali può infortunarsi, ammalarsi, etc., etc.? Ovviamente, nessuno può nascondere che anche tra i lavoratori autonomi ci siano delle sacche di evasione che vanno assolutamente debellate.
Tuttavia, le stime messe a punto del MEF non convincono, anche alla luce del fatto che non includono il tax gap riconducibile agli autonomi esclusi dal pagamento dell’Irap. Vale a dire quelli in regime dei “minimi” (quasi 2 milioni di soggetti), una buona parte delle imprese agricole, i professionisti privi di autonoma organizzazione e il settore dei servizi domestici.
Complessivamente siamo parlando di ben oltre la metà dei lavoratori indipendenti presente nel nostro Paese. Ebbene, se fosse considerata anche l’evasione di questi ultimi, che picco toccherebbe l’evasione degli autonomi? E’ evidente che questi dati sono poco “attendibili”, ma quello che è altrettanto insopportabile che molti organi di stampa e parecchi opinionisti radical chic utilizzino queste stime per accusare gli autonomi di essere “brutti, sporchi e cattivi”; ovvero, i nuovi “affamatori del popolo”. Non pagano, quindi le ambulanze non hanno la benzina per correre, le scuole sono costrette a chiudere, etc., etc.
Al Nord gli autonomi in contabilità semplificata dichiarano il 43% in più dei colleghi del Sud
Anche osservando le dichiarazioni dei redditi degli imprenditori individuali e dei lavoratori autonomi in contabilità semplificata (regime fiscale che coinvolge la grandissima parte degli artigiani e dei piccoli commercianti), le differenze reddituali sono profondissime. Se, mediamente, al Nord si dichiarano 33 mila euro all’anno, al Sud solo 23 mila. Questo vuol dire che al Nord si dichiara il 43 per cento in più. Questa forchetta tende addirittura ad aumentare quando si analizzano le dichiarazioni dei redditi anche dei lavoratori autonomi (liberi professionisti e artisti) e delle imprese individuali in contabilità ordinaria. Ovviamente questi divari sono sicuramente riconducibili alle diverse situazioni economiche e sociali presenti in queste due macro aree. Tuttavia, ha una rilevanza non trascurabile anche l’impatto
dell’evasione fiscale di sopravvivenza che nel Mezzogiorno ha dimensioni importanti. Analizzando i dati delle singole regioni per quanto concerne le dichiarazioni dei redditi in contabilità semplificata, in Lombardia gli autonomi dichiarano 35.462 euro, in provincia di Trento 34.436 euro, in Veneto di 33.318 e in Friuli Venezia Giulia di
33.205 euro. Per contro, in Sicilia ci si attesta sui 23.946 euro, in Puglia sui 23.223 euro, in Campania sui 22.662 euro, in Basilicata sui 21.012 euro, in Molise sui 19.610 euro e in Calabria sui 19.551 euro. La media nazionale è pari a 29.425 euro (vedi Tab. 3).
