Il mutandavirus della politica estera salviniana. Corea, Russia, Usa, Venezuela, Europa…

11 Aprile 2020
Lettura 2 min

di Sergio Bianchini – A parte la benefica resistenza contro gli importatori di africani che ha procurato alla lega milioni di voti, Salvini purtroppo non ne azzecca una.

La politica estera, che per l’Italia conta almeno quanto la politica interna, non la vede proprio ed opera in una sarabanda di prese di posizione contradditorie e scoppiettanti.

Poco tempo fa amava andare in Corea e in Russia. E ciò in nome della difesa dell’indipendenza nazionale contro le prepotenze del mondialismo. Ma ben presto e senza spiegazioni ha appoggiato in “nazionalismo”, non quello Italiano, quello di Trump. Inspiegabilmente è uscito in agosto dal governo. Poi ha sostenuto gli USA contro il Venezuela, poi nella lotta contro l’espansione telematica cinese, poi, unico al mondo, è arrivato a ringraziare Trump per l’assassinio del generale Iraniano ai cui funerali hanno partecipato decine di milioni di persone davvero doloranti.

Sull’Europa l’oscillazione è ugualmente fortissima. Dall’ ipotesi di abbandono dell’euro all’ingresso -si ma per cambiare-. Se tutto si limitasse a confutare la politica migratoria e appoggiare i paesi di Visegrad potrebbe andare. Ma sul funzionamento dei criteri economici mi sembra che siamo proprio fuori.

Il nord Europa teme che l’Italia diventi per gli europei quello che il centro sud è da decenni per il nord Italia. Una fonte perenne di spesa facile e di succhionismo coperto da un continuo vittimismo a cui l’Italia è abituata con lo stile che Luca Ricolfi ha ben descritto nel suo magistrale libro -La società signorile di massa-.

Dimentico di decenni di denuncia di questo stile “Italico” Salvini, assieme alla Meloni, se ne fa il più magistrale interprete nei confronti dell’Europa.
Non si capiscono infatti le proposte se non la richiesta perentoria di …soldi a fondo perduto. E’ una richiesta che tutto il governo condivide, non sia mai visto che la praticano da decenni in Italia, ma che, per realismo, è costretto almeno in parte a mediare.

Personalmente mi sono augurato che il nord Europa resistesse in qualche modo al vittimismo nostrano che è l’altra faccia della non volontà di cambiare profondamente il nostro disgraziato paese.

Sono 40-50 anni che la lotta politica ed elettorale in Italia viaggia sulle promesse irrealizzabili e sul continuo aumento del debito pubblico. Nessuno ancora spiega che bisognerebbe rimboccarsi le maniche e LAVORARE DI PIU’ per due o tre anni tagliando davvero la spesa inutile e rendendo efficiente, con misure grandiose, la repubblica sia a livello statale che regionale, per chiudere il debito.

Un programma politico di riduzione totale del debito implicherebbe non le sparate filosofico-propagandistiche ma la verifica quotidiana e inesorabilmente quantitativa della lotta contro la diffusione del mutandavirus, cioè il funzionamento malato dello stato assistenziale che da decenni infetta il paese e lo sta portando al fallimento.

Probabilmente dentro lo stesso partito di Salvini esistono opinioni diverse e anche contrastanti sulle sue prese di posizione. Come probabilmente, a livello lombardo, sull’opposto stile attendista e nullista di Fontana. Ma purtroppo un chiaro dibattito, trasparente e sincero all’interno di quello che è oggi il primo partito d’Italia non avviene. In questo mantenendo e proseguendo un difetto storico della vecchia lega che probabilmente ha contribuito al suo fallimento e mai sufficientemente analizzato.

Photo by Kyle Glenn

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