EMERGENZA COVID 19 – Fino a 2011 bilancio della sanità in Calabria si trasmetteva per via orale. Come i virus. Governatore Santelli attacca: “Aiuti solo al Nord”. Ma già prima non era un bollettino di guerra?

2 Aprile 2020
Lettura 5 min

di Stefania Piazzo – Erano gli anni in cui il bilancio sanitario di una Regione si trasmetteva per via orale. Come i virus. A raccontarlo non lo si crede possibile, eppure ancora oggi la testimonianza che lo certifica sta agli atti nel sito della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Ma basterebbe interpellare chi a quei tempi nel governo Berlusconi 2 occupava ruoli di responsabilità, il bilancio orale non se l’è dimenticato nessuno.

Andiamo allora ad una fonte certificata, prendiamo una bella agenzia che taglia la testa al toro.

“CALABRIA/SANITA’: SCOPELLITI, REGIONE NON HA PIU’ BILANCIO ORALE =
(ASCA) – Reggio Calabria, 11 apr 2011- ”Abbiamo messo un punto
fermo; non c’e’ piu’ una Calabria dal bilancio orale, non
c’e’ piu’ un deficit non individuato. Ora c’e’ un dato certo,
quantificato in 1.045 milioni di euro, che rappresenta il
deficit della sanita’ in Calabria prodotto dal 2005 al 2010 e
certificato ed ufficializzato dal ”Tavolo Massicci’ e dai
Ministeri competenti. E’ vero, la nuova sanita’ non si
costruisce soltanto sotto l’aspetto finanziario, ma dobbiamo
partire da questo concetto per  regimentare la spesa in un
contesto adeguato e, quindi, recuperare risorse da
reinvestire in una sanita’ virtuosa, offrendo ai nostri
medici, inoltre, tutti gli strumenti adeguati per erogare una
sanita’ di qualita’ per i calabresi”. 

http://www.regioni.it/news/2011/04/11/calabriasanita-scopelliti-regione-non-ha-piu-bilancio-orale-49051/

La bellezza di 11 anni fa il vaso di Pandora si rompeva. Come al tempi dei primi canti cristiani, trasmessi oralmente circa fino all’8°-9° secolo dopo Cristo, per arrivare poi alle prime forme di notazione, consolidate nell’anno Mille, così la politica prendeva atto mille anni dopo che forse era il caso di evitare la trasmissione orale dei conti della sanità pubblica e certificarli.

La sanità calabrese arriva da 10 anni di lungo commissariamento. Che risultati ha dato? Scarsi, se il presidente Jole Santelli in questi giorni denuncia che “il governo aiuta solo il Nord”.

Ecco le sue dichiarazioni nel corso di un collegamento sulla Rai a “Storie italiane”: “Il Governo sta aiutando solo il Nord, è da un mese che chiediamo aiuto ma siamo inascoltati”. Ilaria Calabrò, collega del quotidiano online Strettoweb.com immortala subito la denuncia della governatrice.

“Abbiamo circa 100 posti predisposti per essere adibiti a terapia intensiva, ma mancano gli strumenti, come i ventilatori: me li deve dare il governo, e non mi arrivano”. “In questo momento – ha sostenuto Santelli – il governo, la Protezione civile, il commissario Arcuri stanno distribuendo dispositivi e attrezzature in relazione al numero dei contagiati, e questo vuole dire che per il 90% va alle regioni del Nord che sono particolarmente provate. Noi abbiamo due Italie: quella con il contagio dilagante e quella che sta cercando di evitare il contagio, con questa suddivisione a quella che sta cercando di evitare il contagio arrivano le briciole. Stiamo avendo da 3-4 giorni le mascherine, ma non abbiamo i dispositivi, non abbiamo le tute, non abbiamo quello che dobbiamo fornire al 118 e agli ospedali, non abbiamo le attrezzature sanitarie”. “O cambia questo sistema di distribuzione oppure – ha proseguito il presidente della Regione Calabria – ci troveremo tra poco purtroppo a fronteggiare situazioni molto difficili“. Santelli ha poi evidenziato: “Al momento abbiamo gia’ circa 100 posti predisposti per essere adibiti a terapia intensiva, ma mancano gli strumenti, come i ventilatori. Me li deve dare il governo, e non mi arrivano, non ce li mandano. Li chiedo da un mese, ora che e’ scoppiato il guaio serio nelle Rsa, sto continuando a premere. Il commissario Arcuri – ha sostenuto il presidente della Giunta calabrese – ha chiesto in Conferenza Stato Regioni di dare attenzione al Sud, ma non c’e’ stata molta solidarieta’. E’ un tema di politica nazionale. A questo punto chiedo che il governo, il ministro della Salute, il ministro Boccia assumano la responsabilita’ di dire che una parte rilevante va anche al Sud per predisporre le strutture”.

Inutile dire che esistono due Italie. Entrambe stanno pagando i tagli alla sanità. Ma l’Italia del Sud deve fare i conti con una politica scellerata, che zavorra qualsiasi tipo di risposta nelle emergenze. 10 anni di commissariamento e, da ultimo, il commissariamento di alcune unità sanitarie territoriali per mafia.

Sembrano sabbie mobili. Ecco cosa pubblicava sul quotidianosanità.it il professor Ettore Jorio, professore di Diritto civile della Sanità e dell’Assistenza sociale presso l’Università degli Studi della Calabria, il 10 novembre 2019, quando un piano per le emergenze poteva ancora essere pensato. Ma, dimentichiamo, c’era una campagna elettorale in corso. E tutti pensavano a conquistare la vetta.

Calabria, dieci anni di inutile commissariamento
http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=78615

10 NOV – La Calabria della salute, dopo oltre dieci anni di inutile commissariamento ad acta (che, ovviamente, continuerà chissà ancora per quanto tempo, addirittura potenziato – come vedremo – nei suoi elementi strutturali e caratterizzanti), si è resa destinataria, nell’aprile scorso, del D.L. 35 convertito nella legge 25 giugno 2109 n. 60, recante misure emergenziali da imporre al suo servizio sanitario regionale.
A distanza di sette mesi la conta dei danni, destinati sensibilmente a crescere!

Un risultato che sarebbe stato ovunque improponibile e altrove intollerato, produttivo di dimostrazioni pubbliche ad elevatissima partecipazione sociale. Qui nulla, nonostante l’incredibile. Tre aziende ospedaliere delle quali solo con una manager ufficiale preposta alla direzione e due mandate avanti alla bene meglio da esponenti della burocrazia interna, che si rincorrono tra una dimissione e l’altra.

Un’azienda ospedaliera universitaria senza testa né coda ovverosia senza manager e impegnata in un molto creativo percorso di integrazione, “interpretativo” di una procedura di fusione con l’azienda ospedaliera operante nel territorio cittadino di Catanzaro.

Cinque aziende territoriali provinciali della quali nessuna gestita da manager nominati, due (l’Asl di Reggio Calabria e quella di Catanzaro) sciolte per infiltrazione/condizionamento mafioso, ex artt. 143 e 146 Tuel, e una (Asp Reggio Calabria) fantasiosamente dichiarata in dissesto, ex art. 244 Tuel e seguenti, con qualcun’altra destinata verosimilmente a seguire la medesima (assurda) sorte.

Dunque, un provvedimento straordinario che anziché risolvere le emergenze calabresi – determinate altresì da un commissariamento ad acta ultradecennale portato avanti malissimo e generativo di ineguagliabili storture – ne ha creato delle altre, alcune delle quali difficili persino da concepire giuridicamente, sia sotto il profilo della legittimità costituzionale che a mente della disciplina che caratterizza e regola le istituzioni regionali e il complesso delle funzioni, delle attività e dei servizi assistenziali erogati dalle stesse attraverso il servizio sanitario regionale.

Ha praticamente prodotto anche ciò che era difficile da immaginare, rendendo applicabili – si suppone per superficiale emulazione dell’estensione alle aziende sanitarie degli scioglimenti di cui al combinato disposto di cui agli artt. 143 e 146 del d.lgs. 267/2001 – discipline create, al tempo, per risanare gli enti locali e non già le aziende attraverso le quali le Regioni gestiscono i loro servizi sanitari con il naturale consequenziale obbligo delle medesime di ripianare ogni precarietà dei loro bilanci, esclusivamente con proprie risorse.

Tutto questo senza contare che il provvedimento ha generato in Calabria il disastro assistenziale e organizzativo, creando vuoti incolmabili di governance che hanno:
1) acuito la fuga dei medici, oramai a livelli segnatamente insufficienti per garantire i minimi assistenziali;
2) (ri)accelerato il processo di rendere più precarie le economie, non più garanti persino delle forniture dei farmaci salva-vita e dei presidi medico-chirurgici indispensabili a soddisfare il più basso ordinario;
3) prodotto una pericolosa insufficienza degli organici del personale paramedico e tecnico necessario ad assicurare quotidianamente l’assistenza vitale;

4) acutizzato il decadimento della medicina territoriale, divenuta ovunque irrintracciabile con gravissimo nocumento per la popolazione distribuita nei 405 comuni, la maggior parte montani, caratterizzati da una orografia da mettere paura;
5) sviluppato un’ulteriore e incalcolabile sfiducia nei cittadini verso il sistema salutare pubblico, già portati per loro conto a determinare una mobilità passiva annua di oltre 320 milioni di euro.

Questo non è tutto, perché tra le pieghe di quanto appena scandito si concretizzano le sofferenze della collettività, specie di quella senza protettori, quelli che drenano i voti con la cinica distribuzione delle piccole miserie assistenziali.

Ebbene si, la Calabria è zeppa di questi sofferenti che non trovano posto in ospedale, che muoiono nelle corsie abbandonati da Dio e dagli uomini, che non sanno dove andare in presenza di malesseri.

Problemi, questi, cui il decreto Grillo non solo non ha dato soluzione alcuna ma ne ha peggiorato l’esistenza.
Ad un siffatto «bollettino di guerra», perché di tale si tratta, si sperava potesse porre rimedio il nuovo ministro della Salute che sul tema non ha, invece, affatto fornito alcuna buona prova di sé.

Ettore Jorio
Università della Calabria

10 novembre 2019

Photo by David Alfons

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