Città Metropolitane bocciate dalla Corte Costituzionale. Ma allora l’elezione di Sala non vale?

11 Dicembre 2021
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di Roberto Gremmo – Con una sentenza che farà rumore, la Corte Costituzionale ha dichiarato la legge sulle “città metropolitane” in palese contrasto con il principio di uguaglianza ed ha invitato i legislatori a cambiarla in tutta fretta.

In altre parole, il centralismo imposto dalla così detta legge Del Rio non va bene, in particolare, sottolineano i giudici, nella parte dove impone come presidente del nuovo ente sempre e soltanto il sindaco della città capoluogo, senza permettere a nessun altro amministratore di concorrere alla carica.

La decisione presa con la sentenza 240 e’ comunque un fatto positivo, perché, sia pure solo su un aspetto specifico, mette sotto accusa una recente riforma istituzionale che gli autonomisti ed i federalisti hanno sempre criticato e respinto.

Malgrado la costituzione dica chiaramente che la Repubblica  si articola in comuni, regioni e province, con un abile colpo di coda verticistiche, nel 2014 il Parlamento ha eliminato l’elezione popolare degli amministratori provinciali e trasformato le province più grandi in “città metropolitane” dove soltanto il sindaco della località principale viene, quasi per diritto divino, nominato presidente senza passare per un voto.

Ora, almeno quest’ultima stortura dovrà essere eliminata e verrà finalmente messo in pratica il “principio di uguaglianza nel voto”. Questo però fino ad un certo punto, perché alle elezioni provinciali non votano e non voteranno tutti i cittadini ma solo gli amministratori comunali.

Tuttavia, resta il fatto positivo che il più alto consesso giuridico ha solennemente decretato che, almeno in parte, queste misure verticistiche sono sbagliate.

Ovviamente, le critiche degli autonomisti sono anche altre.

La “grande Genova”, il predominio di Milano o lo strapotere di Torino sui piccoli e medi comuni del loro hinterland sono realtà che penalizzano i comuni periferici, impediscono un uso equilibrato delle risorse e favoriscono sempre e soltanto la megalopoli che ne e’ al centro.

La partecipazione democratica viene largamente limitata dal fatto che a votare per questi enti non sono tutti i cittadini, ma solo i consiglieri che diventano, lo vogliano o no, sempre più casta. Una casta di seconda categoria, ma, almeno nel voto, privilegiata.

Da una classe politica largamente centralista ci si poteva solo aspettare una riforma accentratrice ed e’ comunque positivo che su cominci a discutere sulla sua legittimità.    Tuttavia, la strada per una nuova Repubblica federalista e’ ancora lunga ed irta di ostacoli, soprattutto perché le forze politiche oggi più forti guardano al presidenzialismo, anticamera di un regime autoritario, con un uomo solo al comando.

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