di Roberto Gremmo – Il grido di dolore e’ stato lanciato sul “Fatto quotidiano” da Franco Vaccaneo che abbiamo conosciuto come animatore appassionato della “Fondazione Cesare Pavese” di Santo Stefano Belbo: la Langa contadina, rude ma solidale; le colline della civiltà rurale; l’Alba fucina di liberazione non ci sono più.
Pian piano, ha mangiato tutto il consumismo del turismo milionario che trasforma vecchie cascine in fortilizi di esibita opulenza; ha lasciato morire di dolore i vecchi vignaioli sostituti con i nuovi schiavi pagati niente per produrre bottiglie da sogno a prezzi da incubo; ha trasformato i trifolau in figure di contorno di commerci redditizi per promotori d’affari che dettano legge e infine ha fatto scappare i giovani, per il giro di vite dei prezzi e la mancanza di una sostenibile rete di assistenza medica, sociale ed umana.
Dice Vaccaneo che “prospera un fiume di retorica sulle Langhe patrimonio Unesco dell’umanità, si discute di identità, ricerca delle radici e compagnia bella. Ma i giovani se ne vanno e la bandiera dell’identità si ammoscia a fronte di uno spaventoso declino demografico che spopola paesi”.
Come dargli torto, quando punta il dito su “una Langa di plastica dove spopola il culto bulemico del mangia e bevi fine a se stesso”?
Purtroppo, il Piemonte rurale e paesano non ha mai avuto vera voce in capitolo.
Scomparso perché stritolato dall’egemonia spartitoria delle forze abbagliate dalla modernità; il Partito dei Contadini degli Scotti e dei Cerruti, tradite le speranze paesane dal cloroformio democristiano, sacrificate dal leghismo le terre marginali alla frenesia cementifera ed agli interessi dei soliti potenti; i nostri paesan hanno gettato la spugna. E i soliti avvoltoi si sono gettati sull’ambita preda d’un territorio magico, unico ma indifeso.
Il povero Vaccaneo getta la spugna. Ma sbaglia.
Foto di Luis van den Bos
