di Roberto Gremmo – Duemila voti del Partito Popolare del Nord in Liguria se si contano sono una miseria ma se si pesano si rivelano importanti ed istruttivi, a condizione che diventino l’occasione per un dibattito franco ed aperto fra autonomisti nordisti.
Ricordo per intanto che come sempre anche a queste elezioni non tutti i partiti partivano alla pari, perché i politicanti di palazzo erano esenti dalla costosa, faticosa ed insidiosa raccolta di firme per la presentazione, pedaggio antidemocratico che ha esaurito le forze nordiste ancor prima di entrare in gara per colpa di un pedaggio che non è stato superato a Savona.
L’informazione sempre più ancella del sistema ha fatto il resto, alla faccia della par condicio, e per tutta la campagna elettorale ha silenziato il Partito del Nord, lo ha ridotto ad “altri” persino nei sondaggi, ha presentato la lotta come scontro fra i soli due blocchi principali e invece di informare sui drammi d’una Regione emarginata nella sua parte montana ha ridotto il confronto alla sola questione morale suscitata dalle disavventure giudiziarie dell’ex presidente.
Soprattutto, di liste concorrenti c’è n’erano a chili a creare confusione ostentando richiami alla Liguria, appelli all’orgoglio civico ed identitario, tagliando al Partito di Castelli la poca erba che poteva restargli sotto i piedi.
In queste condizioni, i 2000 voti sono tanti, superano quelli delle formazioni qualunquiste come quella sponsorizzata dalla star televisiva Alemanno, sono il risultato d’una campagna elettorale condotta in francescana povertà fra la gente, e soprattutto possono essere utili per riflessioni auspicabili sul che fare per domani.
Tuttavia l’esperimento ligure pone almeno un problema, quello del disinteresse e dell’ostilità dei tanti sodalizi dialettali, folkloristici e dopolavoristici che si sciacquano la bocca con l’apologia del particolarismo e l’esaltazione del minoritarismo culturale e poi disertano le battaglie politiche autonomista, quando non vanno col cappello in mano a pietire caritatevoli aiuti dai detentori del potere e della cassa.
Da un certo punto di vista, le elezioni liguri pongono un problema soprattutto al Partito Democratico che ha perso per una manciata di voti perché sdraiato su una linea sinistrorsa che non gli ha fatto avere i consensi dagli elettori moderati orientati al centro.
Oggi il partito della dottoressa Schlein persegue nell’ autolesionista politica meridionalista ed assistenzialista, perde regolarmente e non rappresenta un’alternativa al nazional-mojitismo.
Per il PD sarebbe tutta un’altra storia se mutasse avviso aprendosi ad un confronto sulla riforma federalista dello Stato e la crescita di vere autonomie regionali, temi fondamentali della politica del Partito Popolare del Nord, battuto nelle urne ma uscito a testa alta per avere, solitario ed emarginato, alzato la bandiera della questione settentrionale.