Referendum, l’ennesima figura barbina dopo i proclami

13 Giugno 2022
Lettura 1 min

di Roberto Pisani – Partiamo dall’inizio. 

Maggio 2021: Matteo Salvini annuncia in gran carriera la raccolta firme per i referendum. Martellamento social, interviste come se non esistesse un domani da parte dei giornali “amici”, ospitate nelle trasmissioni altrettanto “amiche” come se piovesse.

Agosto 2021: l’annuncio tanto atteso. “Abbiamo raggiunto le 500mila firme necessarie ma non ci fermiamo. Vogliamo arrivare al milione.”

Ottobre 2021: le firme raccolte sarebbero 700/750 mila. Sarebbero appunto. Perché quelle firme nessuno le ha mai viste. La Lega infatti decide di percorrere un’altra strada, quella di chiedere ai consigli regionali nella quale il cdx detiene la maggioranza di votare i quesiti, in modo da raggiungere le cinque delibere previste dalla Costituzione in alternativa alla richiesta popolare. Alla richiesta aderiranno in nove: Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria, Basilicata.

Il risultato finale lo conosciamo tutti: una vera e propria debacle politica, lontanissimi dal quorum del 50% più 1 degli aventi diritto.

A questo punto però si apre inevitabilmente una questione politica. A parte la netta sconfitta della Lega promotrice del referendum, che credibilità ha un leader che annuncia in pompa magna quello che sembrava un percorso in discesa, per poi fare l’ennesima figura barbina, prima ignorando le firme, ammesso che esistessero con quei numeri, per poi ricorrere al piano B appoggiandosi alla scorciatoia dei consigli regionali, per ottenere alla fine un risultato così negativo? 

La vicenda Renzi non ha proprio insegnato nulla?

E poi esiste il secondo problema politico, forse ancora più grave. Non hanno nulla da dire i governatori delle Regioni che hanno votato i referendum e permesso con le loro delibere di andare a votare per questi referendum? 

Non viene loro il dubbio che la loro azione politica, messa in atto probabilmente solo per accontentare le segreterie dei partiti, non abbia coinciso col pensiero dei loro elettori? Non dovrebbero, perlomeno, chiedere scusa? Non dico che dovrebbero dimettersi, ma almeno un confronto politico al loro interno penso sia doveroso.

Sono sicuri lor signori che il loro pensiero e la loro azione politica ed amministrativa corrisponda a quanto i loro stessi elettori chiedono?

Tanto per capirci per qualcuno di loro il mandato si avvicina alla scadenza e possono solo sperare nella memoria corta dei loro cittadini che chiedono di amministrare, e bene, e non di fare da yes man ai rispettivi segretari.

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
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