Quirinale: Draghi inciampa, Silvio mette la freccia

28 Ottobre 2021
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di Luigi Basso – L’elezione del prossimo Presidente della Repubblica costituisce l’appuntamento politico più importante dei mesi a venire: tutto quello che accadrà nei Palazzi Romani, peraltro sempre più lontani dai cittadini, sarà scandito da questo appuntamento.
Persino la Legge Bilancio, tradizionale scoglio di autunnale di ogni esecutivo, è stata anestetizzata e svuotata di ogni velleità di cambiamento (la qual cosa, peraltro, in un Paese in cui quando si cambia lo si fa sempre in peggio, in parte consola) proprio per arrivare all’elezione senza troppi scossoni.
Il Premier Draghi fino a qualche settimana fa sembrava non avere rivali per la salita al Quirinale, ma oggi la sua posizione non sembra più tanto solida.


Nelle ultime settimane il Presidente del Consiglio è incorso infatti in tanti e tali inciampi, anche su dossier facili ed alla portata di mano, da far dubitare che le sue indubbie qualità si possano adattare ad un ruolo essenzialmente “politico”.
Il G20 sull’Afghanistan è stato davvero striminzito, si è svolto sottotono, in un clima in cui facevano più notizia le autorevoli assenze piuttosto che i risultati ottenuti.


L’introduzione del Green Pass sul posto di lavoro, misura impopolare e in certi casi incomprensibile, ha provocato una protesta nella Penisola che è stata repressa malamente, con una esibizione della forza pubblica che è apparsa a tratti parossistica.


Il rapporto con i Sindacati italiani, che negli ultimi decenni non hanno disturbato chi governava e mai si sono mossi come pericolose associazioni sovversive antigovernative, ha subito una lacerazione inutile e storica: mai un Premier repubblicano aveva abbandonato una riunione con i leader sindacali in modo così brusco.
Le relazioni tra il Premier e le forze politiche di maggioranza sono ai minimi termini: ormai autorevoli Ministri lamentano apertamente la mancanza di collegialità delle decisioni prese in sede di Consiglio dei Ministri e la storia dell’Uomo solo al comando ha stancato un po’ tutti.
Lo score dei risultati ottenuti dal Governo Draghi è fermo da tempo: anche le riforme concordate con la UE nel quadro del PNRR latitano e sono sepolte nelle sabbie di Palazzo Chigi.
La crisi economica e quella finanziaria sono appesantite dall’inflazione reale sui beni essenziali, ormai superiore al 5%: il dato ufficiale ISTAT è più basso solo per via dell’effetto “calmierante” di certi beni inseriti ad hoc nel paniere.
A questo si aggiunga la deflazione salariale che prosegue incessante da due decadi e che oggi, unita alla precarietà, diventa un peso insopportabile per le giovani generazioni: parlare delle gioie del sistema pensionistico contributivo a chi guadagna 800 Euro al mese, più che sciocco è pericoloso.
Insomma, mentre il favorito Draghi incespica nella corsa al Quirinale, nella bagarre creatasi dietro di lui si iniziano a notare le abili mosse di Silvio Berlusconi.
Come un caimano, senza clamori, ha rimesso in riga i “discoli” Meloni e Salvini, e contemporaneamente ha rinsaldato il vecchio asse con Renzi.
Il toscano, sebbene abbia poche truppe, ha dimostrato buone doti di “tessitore di trame” in questi ultimi anni e questa abilità vale più di una pletora di parlamentari peones ed ondivaghi.
Secondo gli analisti più attenti a Berlusconi mancherebbero solo una cinquantina di voti per l’elezione a maggioranza assoluta.
Raccattare cinquanta parlamentari nelle fila di “questo” Parlamento non sembra un’impresa titanica per Silvio, considerato anche che si gioca l’ultima partita importante della sua vita politica e c’è da scommettere che gli sherpa del Cavaliere stiano lavorando nei vari partiti da anni per giungere all’appuntamento preparati.

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
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