Quel pendolo tra la società del ribellismo e dell’obbedienza al potere. Sacro o profano

13 Settembre 2020
Lettura 11 min

di Sergio Bianchini – In Italia vi è un diffuso spirito anarchico e una diffusa delusione e sfiducia verso ogni ipotesi o idea di governo. Questo fa da sostegno al rifiuto psicologico, teorico e perfino filosofico di qualunque potere che si erga al disopra dell’individuo. Il quale soffre e si sdegna continuamente ma rimane intrappolato nella cronica lamentazione per la mancata realizzazione dei suoi sacrosanti “diritti”.

Siamo in un paese dove chi governa ha mediamente un sostegno inferiore al 25-30% (non dei votanti ma dei cittadini) e dove però la carica di conflittualità antigovernativa sembra oggi diminuita rispetto agli anni del dopoguerra o agli anni ‘70 e ‘80 del novecento. L’obbedienza, in una desolante forma passiva, anche nella scuola, sembra ripristinata. E curiosamente ciò avviene proprio mentre il giudizio sullo stato del paese e della scuola stessa risulta quasi unanimemente catastrofico.

Probabilmente questo stato d’animo diffuso, anch’esso poli valente che possiamo definire di disgustata e disperata passività, è conseguenza di una stanchezza verso il dominio culturale ormai pluridecennale del ribellismo stesso. Il quale, vincendo e andando al potere, non è riuscito a trovare sbocchi e costruire nuovo benessere. Questo potere culturale supremo del ribellismo in Italia è fallimentare forse proprio perché non può adattarsi ai vecchi circuiti a volte anche positivi di comando-obbedienza come quelli ministero – scuole o docenti – alunni. Tantomeno può costruire i nuovi circuiti di comando-obbedienza necessari per governare qualunque paese ma ancor di più per ricostruire l’Italia disastrata di oggi, dentro un’Europa per niente strutturata, stagnante, divisa e incerta.

Il disastro del funzionamento statale è, a mio parere, in totale sintonia col disastro dell’organizzazione familiare considerata come fatalmente destinata alla morte. Questo fatalismo “democratico e liberale” non esamina la portata del ruolo della famiglia nella vita sociale. Non vede come l’instabilità ormai dominante nella generazione e nell’educazione dei figli agisca potentemente sulla vita della nazione e dello stato.

La famiglia, oggi in Italia, sta allo stato e alla società intera come i piedi di argilla al gigante. I “fatalisti” dovrebbero almeno porsi il problema non di assimilare alla famiglia qualsiasi forma di convivenza, bensì di come dare stabilità costituzionale e legale alla procreazione ed all’educazione fondamentale dei bambini e dei giovani. Questo dovrebbe essere uno dei temi base per la modernizzazione dello stato in continuità con la nostra storia e cultura.

E d’altra parte prima o poi si deve e ancor più si dovrà tornare nell’alveo naturale della nostra storia, con il suo passaggio dal paganesimo al cristianesimo, dalla tribù all’individuo inserito nello stato moderno. A nulla serve il dirittismo difronte alla necessità di creazione del nuovo. Ci vuole lo spirito creativo. Questo oggi ci manca e non l’ampliamento del pacchetto dei diritti.

Sta di fatto che il rigetto della situazione attuale richiede, a chi non abbia attitudini delinquenziali, una elaborazione culturale che bolli la legge invisa ma sia dotata anche della capacità di prospettare delle vere alternative.

La vittoria di Costantino su Massenzio con la ufficializzazione del cristianesimo è stata forse l’inizio della massiccia e crescente gerarchizzazione della società occidentale. Gerarchizzazione che eliminò l’antico pluralismo basato sugli Dei pagani e sui poteri antichi della famiglia, della gens, della tribù e dell’aristocrazia agraria. L’ordinamento militare, ossatura del potere imperiale supremo ormai assolutamente dominante nel secondo e terzo secolo D.C. cercava una stabilità. Per darsi una stabilità ha dovuto, voluto e saputo trovare un basamento psicologico e culturale unitario, molto più solido del politeismo pagano. E lo ha trovato nel cristianesimo, forse un adattamento “romano” dell’antica religione imperiale persiana zoroastriana filtrata dall’ebraismo.

La particolarità del monoteismo romano insediato prima da Costantino e reso obbligatorio con Teodosio alla fine del quarto secolo, sta nel fatto che il vescovo detiene il monopolio esclusivo del potere religioso nel suo territorio. Ed inoltre tra questo potere religioso e quello politico c’è un legame bilaterale fortissimo. Un legame collaborativo ed a volte anche conflittuale ma sempre a doppia entrata. Il vescovo è poi la mano locale unica del potere supremo papale e della sua gerarchia.

Maometto recepì dal cattolicesimo e dall’impero Bizantino il monoteismo centrandolo però sulla realtà araba e medio orientale. Ma dopo la fase iniziale la religione islamica si è separata dal potere politico. Il quale ha sempre accettato sul territorio organizzazioni religiose diverse.

La religione islamica disciplina rigidamente le relazioni familiari ma il potere politico si realizza tramite la concorrenza tra le famiglie in forme diverse che oscillano tra la collegialità e l’ereditarietà. Il clero non è gerarchizzato e sottoposto ad un’unica autorità territoriale religiosa. Nei paesi dove i mussulmani sono maggioritari ovviamente il potere politico è sempre in sintonia col sentimento religioso prevalente ma deve tener conto della situazione internazionale. Vedi oggi ad esempio Pakistan ed Egitto.

Il monopolio religioso territoriale esclusivo è tipico della storia cristiana e dell’assetto “romano” e del sacro romano impero. E su questo monopolio gemellato con l’imperatore si è basato sempre il potere organizzativo nell’impero d’occidente. La legge territoriale, il diritto uguale per tutti è quindi il prodotto di una antichissima consuetudine in occidente.

Nei paesi islamici invece non vigeva il principio dell’unicità religiosa del territorio, e nemmeno quello della totale sincronia tra potere religioso e politico.

Nell’islam l’opinione pubblica è gestita dalle moschee come fedeltà rigorosa alle regole matrimoniali intorno alle quali si costruisce la comunità dei credenti. L’opinione pubblica rispetto alla funzione statale economica e politica è molto variegata e non dogmatica. Purchè non metta in discussione il basamento mussulmano.

La repubblica islamica moderna, che accoglie l’antico principio cristiano territoriale dell’unica morale e dell’unica legge sullo stesso territorio vede dunque aumentare quello che viene definito fondamentalismo. L’apparente paradosso è che proprio la modernizzazione dello stato porta ad una antichizzazione. Il fatto è che se la legge diviene unica e territoriale porta i paesi a prevalenza islamica ad un maggiore fondamentalismo. Infatti se la legge è unica deve scomparire quel pluralismo religioso che ha convissuto per secoli ad esempio nell’impero turco pur sotto la prevalenza islamica. Ed in primo piano nell’islam vie è l’antica legge morale di cui il diritto familiare è l’essenza.

Lo scontro tra oriente e occidente ha, a mio parere, al centro proprio il diritto di famiglia e non tanto il problema del rapporto uomo donna. La famiglia come base della gerarchia sociale è scomparsa in occidente ma è sempre più definita giuridicamente nei paesi a maggioranza mussulmana.

Casi a sé stanti ma illuminanti sono la Russia e la Cina. In Russia esiste e non appare ancora definito il tema del rapporto tra stato e famiglia ed appare insolubile il drammatico problema demografico che le continue campagne non riescono a risolvere. In Cina il potere statale, che interviene anche costituzionalmente nella pianificazione familiare, già due volte dopo la fondazione nel 1949 ha rinforzato le norme e le procedure giuridiche a difesa della stabilità familiare e del matrimonio.

Sembra dunque che a livello mondiale non sia in crescita il liberismo occidentale bensì proprio il contrario.

E torniamo alla visione esistenziale liberista e avventurosa oggi dominante in occidente.

La chiesa cattolica, intrecciata profondamente e strutturalmente con la Costituzione italiana e con la cultura della società italiana, sostiene, sempre e da sempre, l’obbedienza in ogni situazione costituita che preveda un ordinamento gerarchico. L’ordinamento gerarchico della società è considerato dalla chiesa, ma non solo, una necessità “naturale” che è indispensabile per gestire la comunità.

Nel prologo alla sua REGOLA S. Benedetto, accingendosi, assieme al papa di Roma, alla grandiosa opera organizzativa che ricostruirà in qualche secolo il tessuto di base dell’Europa devastata dalle guerre gotiche, dice: Ascolta figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell’obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l’ignavia della disobbedienza. Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell’obbedienza per militare sotto il vero re, Cristo signore.”

La teologia cattolica pur ritenendo l’autorità come una un prodotto “naturale” della volontà divina non ritiene giusta ogni autorità e ogni disposizione dell’autorità.

La ribellione consapevole è quindi possibile. Ma lecita e giusta solo quando si oppone non alla gerarchia in sé stessa ma quando l’autorità vigente va contro la legge divina di cui la chiesa è la sacra depositaria e custode.

Non solo, ribellandosi all’ingiustizia somma, al fine di avere una forza autentica e tenace, ci si deve sottomettere ad una giustizia somma e quindi è necessaria l’accettazione e delineazione di una alternativa reale, teorica o politica più o meno prossima.


Una deduzione chiara è che un gruppo o un individuo aventi apertamente il culto della disobbedienza non sarebbe in linea con la filosofia cattolica. Filosofia non più dominante ma sempre potente che vive in larga parte del comune sentire italico.

Il ribellismo però si è diffuso da noi come in tutto l’occidente ed è alimentato oggi, anche per ragioni geopolitiche, dalla massima superpotenza, gli USA, (chi l’avrebbe mai detto negli anni 70?) nella lotta per l’egemonia mondiale. Il ribellismo, a partire dagli anni ’60, si è diffuso ovunque, anche nella chiesa, giungendo alla vittoria totale.

Don Milani, il prete toscano emarginato dalla chiesa degli anni ’60 e oggi glorificato, scrisse un saggio intitolato “l’obbedienza non è più una virtù”, contro l’obbedienza ad ordini disumani nelle forze armate. il testo, poco letto ma il cui titolo è usatissimo, suonò come una rottura nel profondo humus cattolico e a livello filosofico non ebbe seguito. Però a fianco della tradizionale sensibilità cattolica contribuì, certamente non volendo, ad introdurre i nuovi elementi, oggi quasi dominanti, a favore del ribellismo, dell’anarchismo e dell’individualismo.

Sentimenti e pensieri ormai diffusissimi e che si manifestano chiaramente ad esempio nell’amore, fortissimo negli ambienti anche parrocchiali, per la “spiritualità” di Fabrizio de Andrè. Una spiritualità dolce e malinconica ma radicalmente anticonformista che ancora si limita alla renitenza ma che ha trovato sbocchi anche militanti ad esempio nell’aggressività di uno Sgarbi. Per inciso in Italia abbiamo visto operare potentemente il gruppo di Casarini che si denominava “i disobbedienti”. Ma anche tutta la vicenda di Pannella e del partito radicale esprime molto bene l’intrecciarsi, nella “nuova sensibilità” italiana, di ateismo e cattolicesimo uniti dentro un ribellismo puntiglioso e dispettoso, serioso e ridanciano, immorale e moralistico, lamentoso e minaccioso.

Ha forse torto chi parla ormai in Italia di una schizofrenia di massa?

Il ribellismo non è una caratteristica solo attuale e nazionale. E’ una componente sempre e dovunque presente nelle vicende umane. Abbiamo visto nella Russia di Lenin nascere lo scontro tra Stalin e Trotski e poi anche in Cina le guardie rosse proclamare la famosa frase “ribellarsi è giusto” durante i dieci anni (’66-’76) della fallita rivoluzione culturale.

Il ribellismo però si scontra regolarmente col “governismo” a cui regolarmente finisce per sottomettersi perchè esiste e prevale la necessità improrogabile di gestire al meglio la società e la vita quotidiana. Questa eterna lotta era spiegata da Marx con l’esistenza storica delle classi sociali e secondo lui sarebbe cessata con la scomparsa delle classi stesse. Cosa che l’URSS cercò di realizzare e che la Cina dichiara oggi realizzata tramite la nascita della RPC dove il potere “cerca l’armonia” e non il predominio di una parte della società sull’altra.

Ma evidentemente il potere, che oggi ha raggiunto l’enormità dello stato moderno, e gli uomini ad esso sottoposti devono ancora trovare una corretta impostazione.

Ecco che sbaglio parlando di uomini sottoposti al potere. Il potere non è una macchina infernale che qualcuno conquista e gestisce con misteriosi artifici. E’ una catena di relazioni umane che funziona sotto varie spinte. Gli uomini sono anche sovrapposti al potere. Ed anche frammisti. Solo che manca ancora una vera comprensione del ruolo e del funzionamento dello stato e della gerarchia sociale nel mondo moderno.

Dentro questo discorso ci sta anche la crisi della famiglia, il nuovo monachesimo (i single) e la riproduzione sociale. I proletari hanno ora qualche soldo ma sono rimasti senza…. prole.

Negli Usa abbiamo assistito al fatto che il ribellismo del 1600, antimonarchico, cresciuto nella lotta al feudalesimo e alla chiesa anglicana in Inghilterra e coniugato al calvinismo, si è “trapiantato’ nel nuovo mondo. E lì ha prodotto una realtà particolarissima e per ora vincente. Un mix di aziende, ordinatissime e blindate nel loro ordinamento gerarchico interno indiscutibile e indiscusso, immerse in una società caotica. Questa situazione domina ormai quasi totalmente e tende a generalizzarsi progressivamente in tutto l’occidente.

Il dominio culturale del ribellismo, al potere ormai in tutto l’occidente, si palesa in tutti i media, nella musica, negli artisti, nei cantanti, nei grandi personaggi di successo, nel giornalismo graffiante.

Il dominio culturale del ribellismo, specialmente nella forma dell’anticonformismo provocatorio è sostenuto dall’ordinatissimo sistema aziendale. Il potere aziendale (capitalistico?) convive col potere territoriale ma si oppone ad un forte e dominante potere governativo sul territorio il quale è perfino abbandonato al caos.

Questo mi sembra il dualismo semplicissimo di marca USA che opera ormai apertamente sull’opinione pubblica per impadronirsi del potere in tutte le realtà territoriali ancora non sottomesse.

In questa situazione particolarmente tormentata è la vita della chiesa cattolica che non può permettersi l’isolamento nel paese dove ha la sua casa, l’Italia. Modernizzandosi ed adattandosi alle esigenze del “mondo” si separa però dalla sua stessa bimillenaria tradizione con lacerazioni di imprevedibile portata. L’adattamento poi al mondo occidentale è di direzione inversa rispetto a quello necessario nelle rimanenti parti del pianeta, Africa ed Asia in primis. Ad esempio la sindaca di Honk Kong è cattolica e sostiene il nazionalismo cinese e il primate della Nigeria invita i Nigeriani a non emigrare in Europa. Entrambe queste voci sono azzerate dalla nostra macchina propagandistica compresi i media cattolici. Ha ragione Reguzzoni a dire che la chiesa vive la più difficile delle situazioni dopo la crisi del quarto secolo che vide lo scontro tra ariani e cattolici.

Papa Benedetto XVI ha più volte detto che la crisi del mondo attuale è dovuta alla perdita della fede in Dio.

Oggi la parola DIO ha perso totalmente significato per la maggioranza delle persone sia in occidente che in Russia e Cina.

Dio, questa parola, per i più non significa nulla. Diventa più chiara se si intende per Dio la chiesa cattolica stessa che di Lui si proclama continuazione cristiana e strumento sulla terra.

Oppure la parola Dio riacquista senso se si pensa al desiderio di un mondo ricolmo di armonia e di assenza di tensioni di qualunque genere. Questo mondo, desiderato nel profondo da tutti, è il vecchio paradiso perduto, generato da una forza grandiosa e super umana, onnipotente, Divina appunto.

L’armonia generale che però non chiamiamo più Dio è un sogno ancora umanissimo, il paradiso perduto, che sogno rimarrà ma che comunque ci orienta da sempre assieme alla lotta per la sopravvivenza.

Spinti da questo sogno tutti coloro che in nome di Dio hanno elevato l’umanità portandola allo stato attuale (es.Budda, Zaratustra, Abramo, Cristo, Maometto ma anche i condottieri militari come Alessandro, Cesare, Augusto, Costantino e i capi politici come Lenin, Mao ecc) vanno guardati direttamente. Se non chiamiamo Dio il loro ispiratore dobbiamo ammettere che dentro di loro, gli ispirati, dentro l’umanità stessa, c’è stata una grandiosa (divina?) spinta.

Spinta che ha operato sia nei comandanti che nei comandati.

Nei comandanti, nelle guide, ha dato la forza necessaria al comando e nei comandati una forza analoga necessaria per l’obbedienza attiva.

In tutto l’occidente, contrariamente all’auto incensamento circa la superiorità della democrazia di cui si avvale ormai solo il 30-40 per cento della gente e di cui TUTTI sono delusi, tra comandanti e comandati c’è un distacco enorme. Non c’è alcuna fiducia reciproca. Ma non accetto la distinzione oggi prevalente tra comandanti turpi e sottoposti puliti. L’intesa, indispensabile, viene così raggiunta al ribasso tramite le regalie del potere e la statica passività lamentosa o/e rabbiosa del popolaccio. Non va bene!

Certo, dei vertici inetti e corrotti alimentano il ribellismo ma viceversa un ribellismo capriccioso e malato scoraggia le dirigenze oneste. La moralità, attiva, dominante e capace di gestire il governo della società deve quindi vedere uniti e attivi il basso e l’alto, i comandanti ed i comandati. Nella sincerità e nell’onestà reciproca. E Venga lo spirito creatore!

Sergio Bianchini – già preside e dirigente scolastico

Photo by Motoki Tonn

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