di Giovanni Cominelli – La realtà tragica della guerra mette alla prova le culture politiche del nostro Paese.
In primo luogo, quella del pacifismo storico di una parte della sinistra e di parte del mondo cattolico. Una nobilissima kantiana aspirazione alla pace universale trascina migliaia di persone in piazza in questi giorni. Tornano le parole d’ordine del pacifismo perenne: “guerra alla guerra”, “sì alla diplomazia”, “se vuoi la pace, prepara la pace”, “chi invia armi, diventa complice della guerra”, “fuori la guerra dalla storia”, “le guerre sono tutte sbagliate”, “fuori l’Italia dalla Nato!” ecc…
Dalla sinistra più radicale, a una parte del mondo cattolico fino a Salvini, noto difensore crociato del Cristianesimo, si levano queste grida. Sono le grida facili di tutte le anime belle. I cattolici dovrebbero avere imparato da Paolo VI che la pace nasce dalla giustizia, come ha ben ricordato Luca Diotallevi. Sulla violazione dei diritti umani e della sovranità dei popoli non si può permettere che si generi un deserto e lo si chiami pace.
Zelensky non chiede che noi ci interponiamo tra aggressore e aggrediti, incapaci di fermare il primo e di aiutare i secondi. Di fronte al Parlamento europeo non ha invocato la pace, ha chiamato a difesa della libertà per il suo popolo. Una pace senza libertà è semplicemente servitù. Chi celebra i martiri, che hanno difeso la loro libertà di credere fino a sacrificare la propria la vita, dovrebbe tenerlo a mente.
Quanto alla sinistra radicale, fonda il suo pacifismo sulle vecchie parole d’ordine di Stalin e della Terza Internazionale, lievemente ritoccate: è il capitalismo finanziario globalizzato la fonte della guerra. E la Nato è il suo comitato politico-militare. Come negli anni Trenta, il capitalismo genera la dittatura terroristica della borghesia e questa porta alla guerra. Se vuoi la pace, devi abolire il capitalismo e sostituirlo con?… Putin, è vero, non si sta comportando benissimo. Ma non è colpa sua. Il suo è un fallo di reazione, provocato dalla Nato e dall’Europa.
Fin qui, tuttavia, solo malinconico revival, nessuna novità: sono più di cinquant’anni che questo pacifismo, privo di cultura storica e di “analisi concreta della situazione concreta”, pur raccomandata da Lenin, gira a vuoto. Purtroppo la guerra non obbedisce all’intimazione di uscire dalla storia. Puoi anche uscire dalla Nato, ma sei disposto a fare i sacrifici necessari per un esercito europeo? O l’Unione europea deve diventare una grande Svizzera?
Più nuovo rispetto alla tradizione della destra storica, sia di quella con la “D” maiuscola sia di quella fascista, ma, se possibile, ancora più triste, è lo spettacolo politico-culturale della destra italiana di oggi, in tutte e tre le sue componenti.
Corre nelle vene della società italiana un senso comune diffuso, per il quale se ciascun individuo, se ciascuna comunità, se ciascun Paese si facessero agli affari propri, il mondo si ritroverebbe automaticamente nella pace del Paradiso terrestre. Parola d’ordine: “padroni a casa nostra!”.
Questo senso comune soffre di due tare. La prima è quella dell’ignoranza colpevole della storia umana, la quale è piena di gente che ha voluto e vuole “essere padrona” in casa d’altri, piaccia o no a questi. Atteggiamento, questo, decisamente sgradevole, ma da sempre praticato da singoli e da gruppi umani. Non è così, d’altronde, che si sono confrontati, sanguinosamente ahinoi!, le etnie, le lingue, i popoli? Non è così che si sono formati i Popoli, le Nazioni e gli Imperi? Che ci si possa mischiare pacificamente, attraverso gli scambi commerciali e culturali e camminando per le strade del mondo, oltre i confini, lo abbiamo sperimentato in questi decenni. Ma non sempre e non sotto ogni cielo.
Putin non è stato invitato a nessun ricevimento a Kiev. Eppure sta cercando di aprire la porta dell’Ucraina a suon di bombe per ricostruire un Impero fuori tempo, padrone in casa altrui. Casa d’altri? No, per Putin è casa da sempre dei Russi. Se all’ignoranza, qualora in buona fede, si può forse rimediare con un manuale di storia, la seconda tara è più profonda, perché nasce da una tendenza fatale di noi esseri umani: quella ad occuparci primariamente dei nostri interessi “particulari”. Essa è stata largamente dominante nell’Europa del dopoguerra: noi ci dedichiamo ai commerci, ai consumi, al benessere, gli Usa pensano alla nostra difesa.
In Italia, questa “im-morale pubblica” ha conosciuto anche la versione più pedestre: “Franza o Spagna, pur ché se magna”. Se dare armi, e non pistole ad acqua, agli Ucraini per difendersi da una brutale aggressione, comporta il sacrificio delle esportazioni/importazioni, allora fermiamoci, discutiamone. “Non in mio nome!”, ha irridentemente proclamato il suddetto Salvini, citando la parola d’ordine dei movimenti contro la guerra americana in Vietnam: “Not in My Name”!
La prevalenza degli interessi particolari immediati non è ovviamente un’invenzione di Salvini o della destra italiana. L’abbiamo già vista affacciarsi nei due anni del Covid: prima i miei commerci, poi la salute altrui. E’, come si diceva, una tendenza profonda, per nulla affatto sotterranea, della società italiana. Metà dei contribuenti non paga le tasse! Ma si deve constatare che è la destra di Salvini, Meloni, Berlusconi a farle da sponda e a offrire rappresentanza e legittimazione a questo rifugio egoistico nel “particulare”. E, si intende, a cercarne i voti.
Né la vecchia destra liberale né quella totalitaria del fascismo avrebbero mai compiuto un’operazione politico-ideologica così squallida. Semmai, sacrificavano brutalmente gli interessi dei singoli a quelli, talora mal concepiti, della Patria. Il sovranismo-nazionalismo ha rovesciato i paradigmi della destra in quello dello Stato assistenziale-corporativo – è paradigmatica l’ostilità della destra alla mappatura dei valori immobiliari in questi giorni – fondato sul debito pubblico e in quello di un individualismo anarchico dei singoli. Che in tempi di Covid si è ammantato di libertarismo e oggi, in tempo di guerra, di pacifismo.
Perché accade? Perché la destra italiana non ha ancora capito che ciò che pone in antagonismo Putin rispetto all’Europa non sono primariamente gli interessi geo-politici, ma l’idea di persona, di Stato di diritto, di democrazia. E’ l’Habeas corpus, che impedisce di far sparire le persone nel nulla o di incarcerarle senza processo o di assassinare gli oppositori.
Se Berlusconi ha potuto prendere lucciole per lanterne, definendo Putin “un vero liberale”, forse è perché non dispone di un concetto cristiano-liberale di democrazia, ma solo di un concetto “commerciale”. Quanto a Salvini e Meloni, non sono né cristiani né liberali. Forse, sul fondo, sta solo l’eterna “im-morale pubblica” di una parte del Paese.
Da santalessandro.org. per gentile concessione dell’autore
GIOVANNI COMINELLI
Giovanni Cominelli laureato in filosofia con Enzo Paci. Consigliere comunale a Milano nel 1980 per il Pdup, consigliere regionale dal 1981 al 1990 per il Pci. Dal 1985 al 2000 responsabile scuola del Pci-Pds-Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola. Membro del Gruppo di lavoro per la valutazione, istituito nel 2001 dal ministro Moratti, fino al 2004. Dal 2002 al 2004 membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi, poi consulente per la comunicazione fino al 2005. Dal 2003 al 2005 ha organizzato la manifestazione Job&Orienta dedicata all’istruzione. Membro del Cda dell’Indire dal 2005 al 2006, è stato responsabile delle politiche educative della Cdo dal 2005 al 2007 e della Fondazione per la Sussidiarietà fino al luglio 2010. Ricercatore presso il Cisem nel 2010. Collabora a Nuova secondaria. Ha scritto di politiche educative sul Riformista, Tempi, Il Foglio, Avvenire, Il Sole 24 Ore e i libri La caduta del vento leggero (2007) e La scuola è finita… forse (2009)