di Cuore Verde – Ho letto con molto interesse una recente analisi di Marcello Veneziani (https://www.marcelloveneziani.com/articoli/con-la-politica-finisce-pure-la-metapolitica/) sull’assenza della “metapolitica”. Veneziani rileva che, allo stato attuale, non si può parlare di “egemonia culturale” perché è sparita la cultura soprattutto quella più strettamente legata alla politica.
“La riflessione politica si è come esaurita”. Tuttavia, nel passato, nell’impossibilità di rivoluzioni epocali o forti mutamenti, si ripiegava sulla metapolitica. Cos’è la metapolitica? Lo spiega ancora Veneziani: “È il piano superiore della politica, il laboratorio in cui si pensa e si vede più lontano. La metapolitica indaga su quelle linee, quegli ambiti, quei pensieri che precedono la politica, la guidano, la oltrepassano. I suoi vicini di sapere sono la politologia, la scienza politica, la filosofia politica, la cultura politica. Ma la metapolitica, almeno nell’accezione che ne dava ad esempio la Nouvelle Droite, è un pensare strategico e pre-politico, non un puro studio accademico e scientifico della politica. Impraticabile la politica, si dava corso alla teoria; essendo carente l’azione, suppliva il pensiero come una specie d’investimento sul futuro”.
Secondo la mia personale opinione, tuttavia, è difficile che negli ambiti ormai logori e vetusti di una visione politica basata sull’asserita esistenza di una nazione italiana “una e indivisibile” possano scaturire nuove pulsioni metapolitiche. Una ideologia “unitarista” che, negli anni ’90, ha portato tutte le forze politiche a far fronte comune contro la Lega originaria di Umberto Bossi, respingendo non solo l’ipotesi estrema del secessionismo ma anche quella più moderata di una riforma in senso veramente federale dello stato italiano. Ancora oggi, viene maldigerita la proposta di una blanda “autonomia”. Non può scaturire una rigenerazione in senso metapolitico da un ormai desueto e improduttivo “immaginario ideologico italiano” che potrebbe essere riassunto dalle parole ironiche della canzone “In Fila per tre” (1974) di Edoardo Bennato pronunciante da una pedante maestra:
Vi insegnerò la morale e a recitar le preghiere, E ad amar la patria e la bandiera
Noi siamo un popolo di eroi e di grandi inventori
E discendiamo dagli antichi romani
Scrive ancora Veneziani: Avevamo avuto in passato momenti di stallo della politica, ma ora è in stallo pure la metapolitica, cioè il pensiero che progetta oltre gli assetti esistenti. Chi ancora si cimenta in questi percorsi entra nelle nicchie amatoriali dei profeti new age, quasi degli invasati, che vivono fuori dal tempo e sono giudicati come scorie radioattive del passato, già isolate.
Trovatemi un solo tema metapolitico su cui si cimentano oggi non dirò i cittadini, ma almeno la piccola cittadella degli intellettuali; solitudini domestiche, solipsismi autoreferenziali, e poi nulla. Nulla ravviva, neanche i più ristretti cenacoli. Solo origami ideologici a uso singolo, senza alcuna presa e alcuna condivisione“.
In effetti, concordando con l’analisi di Veneziani, spesso mi definisco un disadattato della Padania. Un modesto anacoreta padano nel deserto della politica.
Eppure, un luogo metapolitico padano è esistito. Un luogo ideale nel quale proiettare le aspirazioni di una Padania libera: i Quaderni Padani (Associazione Gilberto Oneto), rivista bimestrale pubblicata dal 1995 fino al 2015 dalla “Libera Compagnia Padana”, associazione di cui Gilberto Oneto è stato uno dei soci fondatori e uno dei principali protagonisti, che ha ospitato interventi sui temi relativi alla cultura, storia, tradizioni e politica delle regioni padano-alpine.
Per quello che mi riguarda, lo stimolo maggiore che mi ha attirato verso le questioni politiche padane è stato certamente quello culturale. Ricordo che, ad un certo punto, sono diventato un “cacciatore fotografico” di Soli delle Alpi e di altri simboli antichi che fino ad allora non avevo mai notato o dei quali non conoscevo il significato. Conservo ancora centinaia di fotografie. E poi la riscoperta della storia della Repubblica di Venezia e della Repubblica di Genova.
Ultimamente, ho potuto condividere, grazie a La Nuova Padania, alcune mie riscoperte archivistiche con le quali ho documentato che la consapevolezza dell’esistenza in senso etno-culturale della Padania risale almeno agli anni ’30 del secolo scorso. Probabilmente, uno degli eventi più interessanti da punto di vista metapolitico, nel senso di analisi proiettata verso il futuro, è stato il convegno “La Svizzera, un’esperienza da studiare pensando alla Padania” svoltosi a Milano il 16-17 dicembre 1977, promosso dalla Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Milano (
Anno 1977: La Svizzera e la Padania. Il convegno tra …
)
Sarebbe interessante se un’esperienza simile a quella dei Quaderni Padani potesse essere in qualche modo recuperata, replicata ed attualizzata per radunare i profeti della Padania che ora vagano nel deserto. A volte mi soffermo a pensare: ma se nel settembre del ’96 avessimo avuto i social media…?