di Roberto Gremmo – Suona il trombone e rullano i tamburi perché i gonzi del Nord inghiottono senza protestare la fasulla autonomia che è in realtà la benevola concessione di marginali competenze dal centralismo italiano ad una classe politica solo di facciata nordista ma in realtà subalterna e mediocre.
Mi trovo come sempre in perfetta sintonia con Luigi Basso che con una coraggiosa analisi controcorrente respinge con forza le lodi tribunizie all’ennesima farsa federalista messa in scena perché tutto resti come prima, o addirittura peggiorino le cose.
Tre macigni pesanti sbarrano la strada ad un vero federalismo e Basso li indica con grande lucidità: i manéggi speculativi di una casta politica lontana dai veri bisogni della gente; i poteri reali scippati pian piano dalla cosiddetta Unione Europea dei passacarte dei potenti della finanza e del militarismo e, terzo ma non ultimo elemento negativo, la mondializzazione d’una borghesia nostrana che non ha interesse a difendere i territori cisalpini perché nel suo nomadismo speculativo non ha una patria che non sia il suo portafoglio.
In verità, la borghesia è sempre stata contro i diritti dei Popoli e le identità delle etnie.
Lo è stata già dai tempi sanguinari dei tagliagole della “grande revolution” che, in nome dell’uguaglianza, toglievano al popolo tutte le sue differenze identitarie; ha continuato a seminar lutti e dolori per fare buoni affari con le invasioni sanguinarie del risorgimento, ha voluto il bagno di sangue della grande guerra, poi è passata indenne dal re al duce ed alla repubblica, ma sempre e soltanto guardando ai propri interessi.
Dai padroni del vapore ci si devono aspettare solo disastri.
Come confermano le vergognose campagne guerrafondaie che ci stanno costando pesanti sacrifici.
E allora? Nessuna speranza per noi tenaci indipendenti, cuori barbari non sognanti ma irriducibili avversari del nazionalismo? Non molliamo.
Se le élites lombarde, piemontesi, venete, liguri, emiliane e romagnole sono come sempre contro di noi, se la così detta “mitica classe operaia” è in estinzione e si è ormai rassegnata ad essere schiava del consumismo, esiste nei nostri Popoli un vasto gruppo sociale che può essere sensibile ad una riscoperta dei valori profondi della nostra autoctona civiltà alpina e padana.
Migliaia di giovani generosi si mobilitano in difesa dell’ambiente e della natura; cadono nella trappola del “cambiamenti climatici” mostro invisibile e fasullo, ma la loro generosa battaglia può trovare uno sbocco positivo se sapremo spiegare che il nostro territorio si difende solo se sapremo imporre regole a misura d’uomo per la sua conservazione.
La vera alternativa al degrado ambientale è l’autodeterminazione delle genti, tagliando le unghie rapaci dei padroni del mondo.
Certo, sarà necessario un lungo lavoro culturale ed un impegno politico senza compromessi coi partiti nazionalisti, uno peggio dell’altro, come abbiamo sempre detto.
Questi giovani debbono scoprire il fascino del ritorno alla terra, ritrovare i vincoli di solidarietà della civiltà contadina, fare fronte comune e comunitario contro “quelli di città”, i parassiti senza radici avversati nella saga padana di Guareschi dai paesani, finalmente compatti, superando le fasulle barriere ideologiche che li dividevano.
Non è il mugugnante travet dei capannoni che può condividere davvero la nostra speranza d’essere padroni in casa nostra. Non sono gli intellettuali un tanto a riga con sgambettante genuflessione ai potenti. Meno ancora possono essere dalla nostra i burocrati parassitari che difendono con le unghie e coi denti i loro privilegi di paracadutati da fuori in casa nostra.
Dobbiamo fare appello ad una gioventù che merita di meglio d’una società decadente, amorale e massificante.
Negli anni più cupi della dittatura franchista, baschi e catalani hanno continuato la loro lotta difendendo come un tesoro lingua, tradizioni ed i propri modi particolari di vita.
Cominciamo anche noi una lunga marcia per salvare la nostra gente.