Milano ultima per potere d’acquisto. Difficoltà anche per i lavoratori più qualificati. Nord come i paesi post comunisti?

19 Novembre 2023
Lettura 5 min

di Stefania Piazzo – Chi l’ha detto che vivere al Nord sia facile e che uno stipendio in famiglia possa bastare? Perché il costo della vita non rispecchia il potere d’acquisto delle buste paga? Se a questo aggiungiamo che il Nord paga più tasse, versa più contributi previdenziali ma non riesce a stare al passo con l’inflazione, gli affitti, i mutui, proseguendo però a produrre più Pil di tutto il Sud messo insieme (vedi anche il report degli Scenari previdenziali di Alberto Brambilla, ndr) la frittata è fatta.

Askanews ha dedicato un ampio servizio, a firma di Marco D’Auria, dal titolo chiaro. “Milano ultima in Italia per potere d’acquisto, peggio di Roma“.

Si legge che Milano “Da metropoli meta per decenni di immigrati dal Meridione d’Italia, attratti dalla possibilità di migliorare le proprie condizioni alla più complicata città della Penisola in cui sbarcare il lunario. Con stipendi medi troppo bassi (e fermi) in rapporto a un costo della vita in costante crescita Milano risulta, secondo la graduatoria calcolata dal sito Numbeo e basata su milioni di dati forniti dai cittadini di tutto il mondo, la città italiana in cui la capacità d’acquisto di beni e servizi calcolata in base allo stipendio medio è la più bassa in assoluto”.

Tanto da rendere Roma migliore e sprofondare, testuali parole, in una classifica da capitale posto comunista dopo Bucarest. Parimerito con Sarajevo. Altro che City Life e città sostenibile.

Se si va a vedere d’altra parte il citato indice (https://it.numbeo.com/costo-della-vita/nazione/Italia), si arriva al paradosso riportato da Askanews: e cioè che “una città che prende più di quello che riesce a dare”, secondo la definizione di un rapporto recentemente pubblicato sui cambiamenti del mercato immobiliare dopo l’Expo 2015 (Oca)”.

E così, la metropoli ci beve e di divora perché è “al 197esimo posto in Europa su una classifica che comprende 258 città, significa che i residenti che percepiscono un salario medio possono acquistare, in media, meno dalla metà dei beni e servizi, appunto 48,6, dei residenti con salario medio di New York city”.

Ma il malessere resta comunque ben diffuso perché viene ricordato che in generale abbiamo “un potere d’acquisto basso rispetto ai Paesi industrializzati (63,8), attestandosi 42esimo posto nella classifica mondiale e al 20esimo posto in Europa dopo la Repubblica Ceca e molto più basso rispetto a nazioni come la Spagna (83,6), la Francia (81,5), il Sudafrica ( 78,1) o il Belgio 90,7, per non parlare della Svizzera, Olanda, Germania , tutte sopra quota 100”.

In altre parole, si acquista la metà di beni e servizi rispetto ad altre realtà europee. E rispetto ad altri capoluoghi nazionali, come si può vedere sempre nella classifica stilata da Numbeo.

Genova quindi ha il 30% di potere d’acquisto in più. “Verona, Parma, Brescia, Rimini, Torino, Trieste superano l’indice di 60, tutte quindi con un potere d’acquisto che supera del 20% quello dei milanesi. Ma anche Palermo (58,8), Cagliari (55,6), Bologna (55, Firenze (52,2), Napoli (50,9). Anche chi vive a Roma (57,5) ha un potere d’acquisto maggiore del 15% circa di chi si trova a Milano”.

Ma l’inchiesta sfodera anche di più, ovvero il report dell’Osservatorio Casa Abbordabile promosso da Consorzio Cooperative Lavoratori, Delta Ecopolis in partnership con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. D’Auria infatti ci ricorda che questi studi ci svelano come”Milano non è una città per chi lavora”: il 34% dei contribuenti dichiara un reddito lordo inferiore ai 15mila euro ma i prezzi medi di abitazioni e affitti sono cresciuti del 41% e del 22% dal 2015 al 2021, mentre la retribuzione media di operai e impiegati è cresciuta rispettivamente solo del 3% e 7%. E con 1.500 euro di retribuzione si possono comprare 23 metri quadri”.

Correttamente viene anche suggerito il rapporto “nel volume Bricocoli M., Peverini M. (2023, in pubblicazione) “Milano per chi? Se la città attrattiva è sempre meno abbordabile”, Siracusa, LetteraVentidue”.

Il punto di non ritorno o, se si preferisce, di “impazzimento” di una maionese che è diventata cara come una pietra lunare, è l’anno 2015, era dell’Expo., “con dinamiche urbanistiche, sociali ed economiche che sono andate inevitabilmente a modificare l’assetto del capoluogo lombardo, con conseguenze sul lungo termine. Il rialzo dei valori immobiliari in zone sempre più lontane dal centro ha pesato progressivamente sulle spalle dei lavoratori a reddito medio basso, costringendoli a cercare un’abitazione in zone più periferiche; ma oggi, sempre di più, ad essere in difficoltà sono profili anche più qualificati”.

Cosa deduce il collega? Che, “Sempre stando al rapporto, i prezzi delle abitazioni crescono tre volte più rapidamente di redditi e retribuzioni, gli affitti quasi due volte più rapidamente. Ma se guardiamo alle retribuzioni stagnanti delle categorie medio-basse, nella classificazione Inps denominate “operai”(in media 1.410 euro di retribuzione mensile lorda) e “impiegati” (in media 2.435 euro) – che insieme rappresentano il 61% dei lavoratori milanesi – i prezzi di acquisto crescono 13,6 volte più velocemente delle retribuzioni degli “operai” e 5,8 volte di quelle degli “impiegati”; i canoni di locazione crescono rispettivamente 7,3 e 3,1 volte più velocemente delle retribuzioni medie delle rispettive categorie. I dati descrivono una città in cui per molti, soprattutto per i nuovi arrivati (chi non era già in possesso di un immobile a Milano) e per i profili reddituali medio bassi, il reddito da lavoro non è più sufficiente a garantire una vita quanto meno dignitosa: il 57% dei contribuenti milanesi dichiara un reddito lordo inferiore a 26.000 euro l’anno e il 34% un reddito lordo inferiore a 15.000 euro l’anno. Tradotto in possibilità effettive, calcolando l’indice di metri quadri di abitazione teoricamente abbordabili in acquisto in tre fasce del territorio comunale – pur semplificando molto: centro, semicentro, resto della città (individuate in relazione alle zone OMI) – si evince come il lavoratore medio della categoria ‘operaio’ (con retribuzione media annua lorda di 16.919 euro) vede un indice di metri quadri teoricamente abbordabili pari a 12 nei quartieri del centro storico, 17 metri quadri in quelli semicentrali, e 30 metri quadri nel resto della città”.

Milano, sintesi estrema, è invivibile e inavvicinabile. “La mancata immigrazione di individui e nuclei a basso reddito e l’allargamento della fascia della povertà dovuta ai costi abitativi fa pensare che Milano si stia allontanando dall’essere una città per lavoratori: il reddito da lavoro non è più garanzia di emancipazione, di autonomia e di una qualità della vita proporzionata alle energie spese”, si legge nella presentazione del Rapporto.

E le conclusioni riportate da OCA, l’Osservatorio casa abbordabile”, sancisce che “se le attuali condizioni politiche e sociali non preludono a una riforma sostanziale in materia di politiche urbane e abitative quello che si prefigura è un cambiamento profondo degli equilibri, delle condizioni di vita e delle relazioni sociali, con fenomeni di polarizzazione ed esclusione rappresentativi di una dipartita netta dal modello della ‘città europea’”.

Se la politica è consapevole e cosciente di tutto ciò, cosa aspetta ad affrontare il tema reale di una questione settentrionale che grida vendetta, soffocata dal populismo e dalle strategie dei like, dei ponti sullo Stretto e di una ideologia che mette a fuoco solo la questione meridionale, sindacati in testa? E’ tutto il sistema istituzionale e rappresentativo a non voler affrontare e dare un nome ai problemi, arroccandosi su precettazioni, guerre mediatiche e leggi elettorali continuamente da riformare, quando basterebbe iniziare col dare più autonomia ai territori, liberare le loro risorse dove vengono prodotte. In altre parole, un diverso assetto dello Stato, meno centralista. Meno succube delle banche, della finanza, di chi decide da fuori quanto debba valere il costo del denaro. Un cappio che viene stretto principalmente sull’asse che da ovest a est taglia in due il paese senza aver fatto la secessione lungo la linea ideale del Po.

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