di Raffaele Piccoli* – A dire il vero sembra un gioco di parole, ma non lo è. In questi giorni di polemiche sul progetto di autonomia differenziata, le caratteristiche della classe politica italiana emergono tutte con incredibile chiarezza.
Avrei molto da dire nel merito della riforma pseudo federalista partorita da un governo nazionalista e da una Lega alla ricerca solo di consensi, ma il punto non è questo.
Il quadro di insieme è abbastanza scontato. I governatori meridionali di sinistra e in parte di destra difendono i loro territori bisognosi di mantenere le risorse che provengono dal nord tramite Roma. Ci può stare.
La politica assistenzialista centralista (PD M5S) fa il suo mestiere di opposizione, è quindi evidente e scontata la contrarietà a qualsiasi forma di autonomia, pur non dimenticando che la riforma del titolo V nel 2001 fu fatta da un governo di sinistra.
Il punto però è un altro. Credo che a nessuno sia sfuggito l’atteggiamento contraddittorio sull’argomento di un governatore di una importante regione del nord. Per comprendere dobbiamo fare un passo indietro.
Stefano Bonaccini nel 2018 era già a capo dell’Emilia-Romagna, in quell’anno avvertì che qualcosa politicamente stava cambiando.
La sinistra anche qui non era più quel monolite inossidabile che gestiva potere e cooperative da 70 anni. La lega nazionalista di Salvini stava erodendo la “diversità” emiliana. In quel contesto con una mossa a dire il vero azzeccata riuscì a creare in assemblea regionale una maggioranza favorevole a richiedere allo Stato Italiano, una autonomia differenziata su 15 materie. Fece accordi con l’allora governatore lombardo Roberto Maroni. Nel febbraio, alla vigilia delle politiche (!) stipulò con il governo Gentiloni un pre accordo che gli permise di avere, allineandosi a Lombardia e Veneto, quello che queste avevano ottenuto solo con il referendum. Mossa che salvò in parte il PD dalla debacle in Emilia e che garantì a Bonaccini la rielezione a governatore.
Il testo di quell’accordo non era molto diverso dal testo Calderoli, si chiedeva in sostanza di lasciar fare alla regione quello che lo stato faceva male. E’ giusto chiedersi pertanto per quale motivo oggi Bonaccini giudichi irricevibile un testo simile a quello che nel 2018 aveva sottoscritto? Qualcosa non quadra.
Si dà il caso che mentre allora il firmatario dell’accordo era solamente il governatore dell’Emilia-Romagna, oggi la stessa persona è anche il candidato alla segreteria del PD. Forse, per ragion di Stato, la poltrona di segretario è più importante. Per l’unità interna questo e altro?
In tal caso, Nulla di nuovo sotto il sole. La classe politica italiana è abituata da sempre a due pesi e due misure.
*GRANDE NORD FERRARA