di Raffaele Piccoli – Il premierato forte “madre di tutte le riforme” è stato approvato dal consiglio dei ministri, e a breve sarà all’esame del parlamento.
Immediata è stata la risposta dell’opposizione: In caso di approvazione il Parlamento e la Presidenza della Repubblica risulterebbero esautorati dal voto popolare di elezione del Presidente del Consiglio. Questa tesi, non rappresenta altro che l’eterno gioco tra destra e sinistra, ininfluente.
E’ ben precisare che si sta parlando di una riforma costituzionale che prevede il doppio passaggio in entrambe le camere e l’eventuale referendum popolare confermativo. Un iter lunghissimo. Ma tutto questo servirebbe davvero a qualcosa, servirebbe al Nord alla Padania? La risposta non può che essere negativa. A noi non serve.
Ci sono diverse e svariate motivazioni che ci portano a considerare questa proposta dannosa per la causa del Nord, vediamo di esaminarle.
In primo luogo un Presidente del Consiglio eletto a suffragio popolare diretto, rappresenta una modifica della Costituzione italiana molto importante che non può essere immessa nel corpo costituzionale in maniera ” solitaria”, deve prevedere una serie di pesi e contrappesi che consentano di non vanificare il ruolo di Parlamento, e Presidenza della Repubblica, e soprattutto delle autonomie. La presidente – Giorgia Meloni – nei giorni scorsi nella conferenza stampa di presentazione del provvedimento, ha affermato con chiarezza che l’approvazione del premierato forte, dovrà camminare di pari passo con l’approvazione dell’autonomia differenziata. A questo punto qualche dubbio emerge. Si era detto che l’autonomia, licenziata dal Consiglio dei Ministri il 3 febbraio 2023, avrebbe dovuto essere approvata entro l’anno, poi si è passati a prima delle europee, poi a fine 2024 e oggi non si sa più quando.
Appare del tutto evidente che una legge costituzionale di tale portata sarà con ogni probabilità sottoposta a referendum confermativo, e ben sappiamo come sino ad oggi, il Popolo Italiano, si sia sempre espresso in maniera negativa sul tema riforme costituzionali.
La sostanza di tutto questo è che con ogni probabilità non si farà il premierato (e non è un grosso problema) ma non si farà neppure l’autonomia differenziata, che di per se non è una riforma particolarmente utile per la Padania, ma era il minimo che ci si potesse aspettare dopo 30 anni.
Ritornano oggi alla mente, ancora una volta, le parole di Umberto Bossi del 1996. Il sistema non è riformabile dall’interno, in effetti il tentativo del 2005 (devolution) è stato cassato, la malariforma di Renzi (2016) stessa sorte, non credo che questa avrà destino migliore.
Cosa pensare dunque? abbandonare il tutto lasciando che il tempo faccia il suo corso con risultati ad oggi imprevedibili. L’Italia ha bisogno di riforme di sistema, ha un debito pubblico immane una burocrazia asfissiante, evasione fiscale e corruzione da record. Insomma la certificazione del fallimento di 75 anni di centralismo partitocratico. Questa la diagnosi, ma esiste una terapia? Le commissioni bicamerali sulle riforme non hanno i mai prodotto risultati i saggi nominati da Napolitano a suo tempo altrettanto. Quindi? Una assemblea costituente eletta con il proporzionale, che si occupi, con tempi contingentati, di modificare in maniera radicale il titolo V della costituzione facendo dell’Italia una repubblica federale, che lasci allo stato centrale pochissime attribuzioni, dando invece alle repubbliche federate e al parlamento di queste la parte più importante del lavoro politico e legislativo.
A mio avviso sarebbero necessarie tre macroregioni che coprano aree omogenee del Paese, con al loro interno Comuni, Città Metropolitane, eventuali Città Stato, e aree di secondo livello corrispondenti più o meno alle attuali province, ma non necessariamente, e con eliminazione delle Regioni. In ogni caso tutto dovrebbe essere scelto dai cittadini secondo il principio di sussidiarietà.
Un sogno?
Sta a noi, alle forze dell’autonomismo, trovare il modo di cessare la dispersione attuale e formare massa critica, oltre che a comprendere se questo sogno ha una qualche opportunità di trasformarsi in qualcosa di fattibile. Non sfugge come oggi le forze politiche presenti in Parlamento, sia di maggioranza che di opposizione, non sprechino energie per qualcosa che non sia la mera gestione del potere finalizzata al consenso.