di Giovanni Cominelli – Gli Usa, la Russia, l’Europa, la Cina guardano, ciascuno con occhi propri, alle elezioni italiane. Per ciascuno di loro c’è una posta in gioco, la cui acquisizione modifica gli equilibri nel mondo a favore o a discapito di sé.
Quanto al Fondo Monetario Internazionale, ha pubblicato in questi giorni un Rapporto che prevede una brusca frenata delle economie mondiali, con il seguito di povertà, di non improbabili disordini sociali, di fame e movimenti migratori incontrollabili. Quanto alle guerre, ce n’è già d’avanzo.
In Europa la locomotiva tedesca butta fuori fumo, ma rallenta. E l’economia italiana? Nel 2021 aumento del +6,6, nel 2022 del +3,00, nel 2023 del +0,7. Meglio di noi la Spagna, peggio di noi la Gran Bretagna. Previsioni modificabili e migliorabili dalle politiche? È possibile.
Il mondo intero, comunque, coglie le conseguenze possibili dell’esito delle nostre elezioni.
Non così i partiti italiani che in esse si affrontano, a parte i lampi di consapevolezza europeista, ma non sempre nitidamente euro-atlantista, delle forze di centro-sinistra. Da parte sua, la destra pensa a Putin – eccetto la Meloni! – alle pensioni, alle cartelle esattoriali, agli immigrati, al milione di alberi… Il M5S pensa a se stesso e a difendere i provvedimenti più clientelari e corruttivi della propria azione di s/governo: il 110%, il cashback, il reddito di cittadinanza…
La discussione si limita al modo migliore di vincere.
Così, quando si passa dalla lettura del Fondo monetario a quella delle cronache del dibattito pre-elettorale, ci si trova catapultati sull’astronave Enterprise, quella di Star Trek, sempre più lontani dalla Terra.
Se tutti noi tendiamo istintivamente a chiudere gli occhi sul futuro, denso di incognite e di minacce, nel bel mezzo di una guerra, locale solo per la traiettoria dei missili, ma geopolitica per gli effetti, ci attendiamo anche che chi abbiamo delegato a occuparsi delle condizioni del nostro mondo, ci dica la verità su ciò che sta accadendo, ci proponga un giudizio e provi a proporci una strada comune.
Niente di tutto questo. La discussione verte sul modo migliore per vincere le elezioni. Prima vinciamo, poi si vede. E poiché si vince con il consenso, allora il modo migliore per conquistarlo è quello di seguire la corrente dei pensieri, delle paure, delle fughe dal mondo dei cittadini. Pensare come gli elettori è il modo più sicuro per ottenerne il consenso.
Perciò il perimetro delle alleanze non è definito dai confini di ciò che si ritiene essere la verità dell’attuale struttura del mondo, ma dai consensi reali o immaginati.
L’Italia sospesa tra provincialismo e neo-sovranismo
Ovviamente, il ripiegamento su di sé dell’Italia, che le opzioni programmatiche rivelano, è esso stesso un’opzione culturale strategica: è la visione dell’Italia, che oscilla tra il provincialismo di un’Italia minore, perennemente assistita e tenuta in piedi con le dande da potenze esterne, e il neo-sovranismo pretenzioso e impotente dei “poveri, ma belli”, esposto ad ogni influenza esterna.
Questo deficit profondo di coscienza geopolitica e, quindi, di visione del destino del Paese comanda la concezione del significato delle elezioni, la filosofia del far politica, la pratica della democrazia e, infine, le proposte programmatiche e la tattica delle alleanze. Il dibattito pre-elettorale convulso e, per ora, inconcludente tra i partiti, in questi giorni, è la controprova più nitida di questi nessi perversi e rovesciati, per i quali ai cittadini-elettori si chiede potere/governo in cambio di benessere immediato e senza futuro.
Così si prospettano alleanze puramente “tecniche” volte non al governo del Paese, ma, semplicemente, ad impedire che l’altro possa vincere. Così si fa appello agli antichi riflessi ideologici di fascismo/antifascismo o anticomunismo/comunismo.
Si dà la colpa di queste capriole tattiche al Rosatellum, sistema elettorale notoriamente ibrido, perché mette insieme una quota minore di eletti su basi uninominale – dove, dunque, l’alleanza è “necessaria”- e una quota maggiore su base proporzionale.
Quando il PD siglò l’accordo di governo con il M5S, il progetto della diminuzione del numero dei deputati e dei senatori comprendeva quale condizione la modifica della legge elettorale. La totale subalternità del PD al M5S ne ha impedito il rispetto finale. Perciò è con questo ibrido che si dovrà andare a votare. Ma il Rosatellum è diventato un alibi.
La realtà del sistema politico è che le alleanze di centro-destra e di centro-sinistra sono saltate e che ciascun partito si muove in una logica puramente proporzionale. Lo sfrangiamento e la crisi delle culture politiche – in primo luogo, la caduta dell’impegno costituente della Bicamerale e del progetto Renzi – è la causa della crisi del bipolarismo e del ritorno al sistema proporzionale. La rianimazione del bipolarismo destra/sinistra attraverso il rilancio dell’antifascismo appare artificiosa e, comunque, inefficace.
Il fondamento delle alleanze nei programmi comuni
C’è un solo modo di fornire un fondamento alle alleanze: elaborare programmi comuni. Si pensava, nel campo del centro-sinistra, che il comun denominatore potesse essere l’Agenda-Draghi e nel campo del centro-destra un’Agenda Anti-Draghi.
Occorre prendere atto che l’Agenda-Draghi è rimasta in mano al solo Mario Draghi. Non solo a destra, ma neppure a sinistra essa è più l’Agenda. Dunque, non si danno programmi comuni, solo idee raccogliticce, il cui fondo limaccioso è il ricorso crescente alla spesa pubblica e all’aumento del debito pubblico.
È questa la vera Agenda delle maggiori forze politiche. Le differenze riguardano le scelte dei beneficiari. Ciascuno ha i propri. E con ciò il cerchio del ragionamento si chiude: la perdita della bussola internazionale ci confina di fatto, al di là dei proclami, nel nostro debito pubblico nazionale, tra le Alpi e il mare, quale unica risorsa spendibile nell’immediato. Lungo questa strada, in discesa, faremo cattivi incontri con il mondo. La troika non è lontana.
Una conseguenza immediata di qui al 25 settembre? Ciascuno proceda da solo, con la propria verità, con le proprie proposte, con le proprie forze. Ciascuno presenti la propria Agenda. Gli elettori sceglieranno. Se sbaglieranno, ne pagheranno le conseguenze. La storia funziona, da sempre, così. A maggior ragione in democrazia.
Foto di Peter Boccia
Per gentile concessione dell’autore da santalessandro.org
Foto di Peter Boccia
Giovanni Cominelli
Giovanni Cominelli laureato in filosofia con Enzo Paci. Consigliere comunale a Milano nel 1980 per il Pdup, consigliere regionale dal 1981 al 1990 per il Pci. Dal 1985 al 2000 responsabile scuola del Pci-Pds-Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola. Membro del Gruppo di lavoro per la valutazione, istituito nel 2001 dal ministro Moratti, fino al 2004. Dal 2002 al 2004 membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi, poi consulente per la comunicazione fino al 2005. Dal 2003 al 2005 ha organizzato la manifestazione Job&Orienta dedicata all’istruzione. Membro del Cda dell’Indire dal 2005 al 2006, è stato responsabile delle politiche educative della Cdo dal 2005 al 2007 e della Fondazione per la Sussidiarietà fino al luglio 2010. Ricercatore presso il Cisem nel 2010. Collabora a Nuova secondaria. Ha scritto di politiche educative sul Riformista, Tempi, Il Foglio, Avvenire, Il Sole 24 Ore e i libri La caduta del vento leggero (2007) e La scuola è finita… forse (2009)