Il dirigente di Afol Metropolitana: “Con questi stipendi a Milano non si riesce a vivere”. In Francia c’è l’indennità di residenza

23 Febbraio 2023
Lettura 3 min

di Stefania Piazzo – In busta paga pesa l’ideologia. Quella che ancora oggi nega di vedere differenze territoriali tra città e città, tra regione e regione, tra un pezzo d’Italia e un altro. La questione del potere d’acquisto, delle gabbie salariali o di un diverso e più pragmatico approccio al costo della vita che al Nord schiaccia gli stipendi verso il basso.

Il ministro dell’Istruzione, Valditara, la questione l’ha lanciata nel ring del dibattito, per riconoscere ai docenti un diverso livello salariale, ed è stato subito un coro di insulti e fischi. La Lega, prima dell’era salviniana, ne aveva fatto ai tempi d’oro una questione di giustizia sociale. Oggi, visto che la politica ha deciso di abdicare e di non affrontare con realismo il problema, derubricando le rivendicazioni a una forma di razzismo territoriale e di Nord egoista, è il mercato a decidere.

Poco fa è intervenuto su Linkedin Simone Cerlini, Dirigente Divisione Lavoro presso AFOL Metropolitana – Agenzia Metropolitana per la formazione, l’orientamento e il lavoro.

Ecco cosa scrive:

Una persona molto capace entrata da noi a dicembre 2021 ha vinto anche il concorso a Palermo. Identica la retribuzione. Noi in #Afolmet l’abbiamo valorizzata, messa al centro di un progetto, abbiamo allargato il suo tessuto relazionale, le abbiamo assegnato responsabilità. Abbiamo fatto tutto quanto potevamo come manager e come organizzazione per motivarla e darle opportunità. Poi lei mi dice: “Con questo stipendio a Milano non riesco a vivere. A Palermo è diverso”. Non si tratta di sole o ritmi di vita, si tratta di giusta remunerazione, di indennità di residenza. Milano è l’Hub dell’innovazione in Italia, dovrebbe attrarre talenti, non cacciarli via. In nome di vuoti diritti, di parole, in nome dell’attaccamento ad un mondo che non c’è più non solo freniamo le occasioni per le persone di crescere e vivere in mezzo allo spillover della conoscenza, ma anche siamo responsabili di profonde ingiustizie.

Serve altro?

Il 20 febbraio scorso sul Sole 24 ore un editoriale a firma di Francesco Verbaro titolava:

“Un lavoro è giusto – scrive – se anche lasua retribuzione lo è. Per questo deve essere in grado di remunerare le differenti performance, i rischi, le responsabilità, le competenze e i diversi costi della vita.
L’alto rischio di scarso impegno o abbandono della Pa deriva anche da retribuzioni piatte nel valore nominale, ma diseguali nel potere di acquisto.
In Francia, da anni, c’è l’indennità di residenza calcolata in base a indici prestabiliti per compensare le
differenze del costo della vita e quindi attrarre il personale nelle zone più disagiate. Strumenti
simili ci sono in altri Paesi”.

Non dice: stipendi più alti a prescindere, ma adeguati a sopportare l’inappetibilità di zone disagiate così come il differenziale nel costo della vita. Nessuna sperequazione.
“L’Italia è un Paese lungo con forti differenze economiche che incidono sui diritti sociali e sulla
qualità della vita”.

Se pensiamo anche alla transumanza nella scuola, con docenti del Sud che stanno al Nord ma poi tornano a casa, degli stipendi “differenziati” renderebbero “più «giusto», e quindi più attrattivo, il lavoro
pubblico. In certe aree e in certe posizioni, un reclutamento mirato con dei servizi di welfare
per favorire l’insediamento aiuterebbe. Ridurrebbe il turnover nelle regioni e nelle sedi meno appetibili per i disagi e il costo della vita”.

Se poi lo dice anche il Formez!!! “Non a caso, secondo i dati Formez, il fenomeno delle
dimissioni dei nuovi assunti si è concentrato al Nord e nelle grandi città. D’altronde i170%
dei candidati ai concorsi è residente al Sud”.

Eccetera eccetera… In più è carente “un welfare di settore o aziendale, oggi sempre più presente nel
privato, di formazione e aggiornamento e a causa di una retribuzione piatta e paradossale, che incentiva il
lavoro dove non serve. Una retribuzione che non è in grado di tenere conto del disagio di chi dovrà risiedere in luoghi lontani o dal costo della vita più elevato, le maggiori responsabilità o i maggiori
rischi, qualificherà quel lavoro come non giusto”.

E il risultato, scrive sulla pietra il Sole 24 ore, è generare “lavoro povero e diseguaglianze”.

Ora, sarà anche importante il Ponte sullo Stretto, indicata come assoluta priorità del Paese dopo l’arresto del boss Provenzano, sarà fondamentale garantire la sicurezza dei confini. Ma la realtà è che i giovani fanno prima ad andarsene, soprattutto da una classe politica che sposa l’ideologia e il consenso facile pur di non affrontare il Paese reale. E di riconoscere che, strutturalmente, socialmente, c’è una questione settentrionale strangolata e a cui è stata tolta la voce, perché smettesse di esistere. Ma non siamo tutti uguali. Lo dice anche la Costituzione. Perché la Carta ribadisce che le disuguaglianze vanno superate.

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
La Nuova Padania, quotidiano online del Nord.
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