Identità e partito unico del Nord. La dura lezione della Lega è stata imparata?

19 Ottobre 2022
Lettura 2 min

di Luigi Basso -Senza aver la pretesa di essere depositari di verità rivelate o di certezze granitiche, ché anzi in politica non dovrebbero mai essere coltivate, almeno per evitare brutte figure, dalla Liguria vorremmo dire umilmente la nostra sulle varie iniziative che in questi ultimi tempi stanno agitando il sonnacchioso ed intorpidito mondo autonomista.
Se si tratti di un autentico risveglio o di semplici sussulti tipici, al contrario, della fase del sonno profondo è ancora presto per dirlo, tuttavia dai primi resoconti sembra che non tutti abbiano fatto i conti con il passato e, per questo motivo, compiono probabili errori di valutazione sull’attualità.


Ammesso che Giorgia Meloni riesca a varare il suo Governo e che questo Esecutivo riesca a durare almeno per qualche mese, appare evidente come esso si muoverà sulla faglia dell’identitarismo.
Ma attenzione.
Al Nord molti, quando sentono parlare di “Identità” non capiscono nulla e prendono lucciole per lanterne: non a caso l’identitarismo al Nord è talmente frainteso che molti elettori passano con disinvoltura dalla Lega a Fratelli d’Italia o Forza Italia.
Una cosa incredibile.
Ma proprio tale disinvoltura dimostra, da un lato, che tantissimi elettori del Nord non sanno realmente cosa significhi “identità” (e arrivano a confonderla con la xenofobia) e, dall’altro, tale disinvoltura fornisce la prova documentale dei danni culturali catastrofici perpetrati nel campo dell’autonomia.


L’identitarismo in FdI è un reale identitarismo?
Esso si muove da un lato sul nazionalismo italiano, che però non esiste (tanto è vero che la destra richiama come Miti fondativi o l’Impero Romano o una sorta di italianitas dei vari Colombo, Michelangelo, Leonardo che, poverini, vengono intruppati in un calderone del quale neppure supponevano l’esistenza), e dall’altro, più convintamente, corre lungo l’asse del tradizionalismo cattolico ultra conservatore destinato a svolgere, così, la funzione di vera base culturale del nuovo Stato che hanno in mente (di più: vista l’attuale crisi del cattolicesimo, in Italia, gli ultraconservatori cattolici finiranno inevitabilmente con l’assumere l’egemonia anche nelle gerarchie ecclesiastiche: l’elezione di Fontana alla Camera è un messaggio chiarissimo in questo senso).


Tuttavia, chi pensa che il tentativo vada ostacolato o addirittura fatto abortire, sbaglia completamente: la parabola del “falso identitarismo”, per esaurirsi, deve compiere tutto il suo tragitto completo, poiché solo dopo il perfezionamento di questa fase storica sarà possibile vedere le vere identità storiche e dei territori imporsi come inevitabili.
Nel frattempo occorre organizzarsi.
Come?
Oggi giorno parlare di un partito del Nord che riunisca tutti gli autonomisti è storicamente e culturalmente sbagliato per almeno tre motivi.
Uno. L’esperienza della Lega Nord ha dimostrato che raggruppare tutti gli autonomisti in un unico partito li espone ad un pericolo mortale in caso di scalata a quel partito da parte di soggetti malintenzionati (tant’è che i movimenti valdostani e sudtirolesi, per esempio, si sono ben guardati dall’aderire alla lega Nord).
Due. Le istanze autonomiste rispecchiano culture profondamente diverse, radici storiche che non sono assimilabili: tra un veneziano ed un aostano esiste la stessa lontananza che passa tra un genovese ed un palermitano, siamo onesti.
Tre. Un unico partito del Nord è stato possibile in passato (anche se era comunque sbagliato per i due motivi sopra esposti) perché dopo il boom economico si erano sviluppate una piccola e una media borghesia industriale, artigianale, agricola e commerciale che, da Cuneo a Treviso, avevano le stesse necessità di semplificazione, detassazione, investimenti in infrastrutture comuni: l’ economia del Nord aveva un moto centripeto impostato sul baricentro padano.


Trenta anni di politiche europee devastanti (quote latte, regole infinite, moneta forte, lotta alla piccola e media impresa da parte di Bruxelles) hanno disintegrato quel tessuto ed oggi i territori del Nord Italia, per sopravvivere, hanno imparato ad avere uno sguardo centrifugo e non più centripeto: un veneto guarda all’Austria più che alla Liguria come un ligure guarda più alla Francia che all’Emilia, e così via.
Come è stato opportunamente osservato da altri su queste pagine alcuni giorni fa, i movimenti autonomisti farebbero meglio a conoscersi, incontrarsi, consultarsi, arrivando anche a fare liste comuni in occasioni delle elezioni, ma senza chiudersi in un Partito Unico scalabile da un manipolo di personaggi.
Tanti Movimenti Autonomisti al Nord, invece che UN Partito del Nord.
E’ meglio una carovana, anche colorata e chiassosa, che un autobus con un conducente alla guida: è impossibile dirottare una carovana, mentre l’autista solitario può portare tutti in un precipizio in un attimo.

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
La Nuova Padania, quotidiano online del Nord.
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