DUE AMERICHE – La crisi economica USA, la brace dell’occupazione in Campidoglio

10 Gennaio 2021
Lettura 3 min

L’occupazione della sede del Congresso americano a Washington è stata la dimostrazione evidente della grave crisi economica, politica e istituzionale che attraversa da tempo la società statunitense.

Non partire da questo punto centrale significa ignorare la realtà nella migliore della ipotesi o deformare i fatti nella peggiore.

La crisi finanziaria ed economica del 2007 partita da Wall Street, con il fallimento di banche importanti tra cui la Lehman Brothers, ancora non è risolta ed è tutt’oggi ulteriormente aggravata dalla pandemia.

Le diseguaglianze sociali negli USA sono aumentate, i posti di lavoro nell’industria che ha visto spostare gran parte della produzione manifatturiera in Cina sono diminuiti, il potere d’acquisto dei lavoratori che erano prima classe media si è portato a livelli di sopravvivenza. Nello stesso tempo le grandi banche d’affari, i grandi fondi di investimento, i nuovi signori del web che non pagano le tasse, tutti questi hanno aumentato i dividendi, mentre le masse popolari si sono impoverite.

Questi sono i frutti della globalizzazione, in particolare della globalizzazione finanziaria voluta dalla presidenza Clinton all’inizio degli anni 90 e proseguita con le successive presidenze Bush figlio e le presidenze Obama che hanno aggravato i problemi interni e aperto nuovi focolai di guerra sul piano internazionale .

Questa crisi non poteva prima o poi riflettersi anche nelle istituzioni politiche americane e dunque anche nell’elezione del Presidente come sta accadendo in questi giorni.

In Trump, a torto o a ragione, anche se molte delle sue promesse non sono state mantenute, quegli strati sociali della popolazione americana impoveriti dalla globalizzazione hanno visto una possibile alternativa, tanto è vero che in queste elezioni i voti a suo favore sono aumentati da poco meno di 63 milioni nel 2016 a 74 milioni e 200.000 alle ultime elezioni, cioè 11 milioni in più.

L’intervento dei maggiori mezzi di informazione a favore di Biden durante la campagna elettorale, in particolare dei grandi giganti del web, le falle nella raccolta dei voti rese ancora più evidenti dal maggiore utilizzo del voto per posta dovuto alla pandemia, il cambiamento di colpo dell’andamento dello scrutinio nei 5 stati chiave che fino a quel momento vedeva Trump in testa, sono fattori che hanno contribuito alla convinzione tra i suoi elettori che vi siano stati dei brogli.

Dietro l’occupazione del palazzo dove era riunito il Congresso per certificare l’elezione a Presidente di Biden c’è dunque la protesta di quegli strati sociali colpiti dalla crisi, c’è la crisi complessiva di un sistema. Il partito repubblicano è spaccato, l’ala cosiddetta di sinistra di Sanders del partito democratico non ha un progetto alternativo, il bipolarismo in definitiva tra i due partiti nella gestione e spartizione del potere politico appare tramontato.

Qualcuno ha visto in questa occupazione l’attacco alla democrazia.

Può essere definito vera democrazia, ovvero democrazia del popolo e per il popolo un sistema in cui l’elezione a deputato, senatore, presidente degli Stati Uniti d’America appartiene di fatto a chi riceve il sostegno economico dei grandi gruppi industriali e finanziari, delle grandi dinastie, o non è invece la democrazia dei ricchi?

E’ democrazia quella in cui chi detiene il possesso dei cosiddetti social network, in questo caso Facebook, oscura il Presidente USA, decide chi può parlare e chi no o piuttosto è un vero e proprio regime autoritario di controllo sul pensiero?

Ci avviamo verso un governo mondiale dove chi comanda è una rete di multinazionali, banche, padroni del web, proprietari di catene di giornali?

La guerra elettronica oggi è una realtà ed  è condotta da chi detiene il potere, questo è quello che accade.

E inoltre, tutti quelli che anche nel nostro paese si stracciano le vesti adesso per l’occupazione del Campidoglio sono gli stessi che a suo tempo hanno appoggiato gli interventi militari in Afghanistan, in Iraq dove non sono mai state trovate le armi di distruzione di massa, in Yugoslavia, in Libia . Ci si può fidare di questi?

La crisi degli USA, centro finora del sistema globale dei paesi capitalisti, per i legami politici ed economici, tocca direttamente anche l’Europa che si trova a dover definire il suo ruolo politico in un mondo che sta prendendo una nuova dimensione.

Tra le conseguenze peggiori dell’attuale fase del capitalismo finanziario globale c’è infatti la spaccatura della popolazione, una parte che pur restringendosi in continuazione mantiene una copertura economica, l’altra parte che non ha garanzie di occupazione e di reddito stabile, spaccatura che si era già vista con la Brexit e ora con le elezioni americane.

I lavoratori europei sono colpiti a loro volta da problemi simili a quelli dei lavoratori americani.

Nella crisi del sistema americano occorre saper perciò cogliere la richiesta di una politica nuova che proviene da gran parte della popolazione, di una politica che metta al centro gli interessi delle masse popolari e si opponga al dominio economico e politico del grande capitale finanziario.

La richiesta anche di una organizzazione politica nuova, che quindi cominci a non riconoscere più i centri politici del potere del grande capitale e che recuperi la ricca tradizione del movimento operai, questa è la vera preoccupazione dei circoli dominanti.

L’esigenza di questa politica nuova è una esigenza comune dei lavoratori americani come di quelli europei e potremmo dire, senza enfasi, dei lavoratori di tutto il mondo.

Fonte: La redazione di penna biro, da pennabiro.it

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
La Nuova Padania, quotidiano online del Nord.
Hosting: Stefania Piazzo

Newsletter

Iscriviti alla nostra Newsletter!

Servizio Precedente

Fronti opposti – Campania, genitori per scuole chiuse. Milano: in piazza studenti per riapertura

Prossimo Servizio

“Guerra civile” in Occidente. L’illusione della libertà economica e di parola

Ultime notizie su Opinioni

TornaSu

Don't Miss