di Luigi Basso – La Corte Suprema degli Stati Uniti, il penultimo ostacolo verso la Casa Bianca per Kamala Harris, cioè per Joe Biden, ha respinto il ricorso del Texas e quello dei suoi amici curiae poiché il Texas non avrebbe dimostrato di avere un apprezzabile interesse a contestare la costituzionalità del modo in cui un altro Stato ha gestito le elezioni.
Si tratta di una decisione che non entra nel merito delle questioni, ma che fa leva su un argomento di procedura: non dice che il Texas “non ha un interesse ad agire”, ma dice che “non ha dimostrato” di averlo (“Texas has not demonstrated …”).
Si tratta del classico atteggiamento ponziopilatesco, la SCOTUS se ne lava le mani, non vuole entrare nel merito e invoca quello che sembra un cavillo giuridico, pure poco convincente: infatti sembra ovvio che se uno Stato ha condotto le sue elezioni in modo sbagliato ed incostituzionale, qualunque cittadino americano, figurarsi un altro Stato, dovrebbe avere interesse a farlo accertare da una Corte.
L’unico dubbio che rimane è il seguente: se uno Stato decidesse di eleggere solo candidati buddisti, per dire, non ci sarebbe modo per nessuno di far valere l’incostituzionalità della decisione ?
La cosa sembra almeno curiosa.
Ora, dopo che Ratcliffe avrà reso noto il suo rapporto sulla presenza o meno di interferenze straniere nelle elezioni americane, questa lunghissima partita elettorale potrà dirsi chiusa.
Naturalmente resterà da vedere, sul piano politico, cosa faranno i 20 Stati che si sono sentiti dire che se un altro Stato decide di far eleggere il Presidente degli USA, per esempio, tirandolo a sorte coi bussolotti, nessuno può obiettare alcunché.
Daranno corso alle minacce secessioniste che si stanno levando in queste ore dal Texas?
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