di Caffarra Maicol – In questo periodo preelettorale di fine estate, dove anche chi come me si è sempre speso e interessato di politica rimane amareggiato da uno scenario poco entusiasmante, mi vedo sempre meno appassionato di vicende più partitiche che politiche, anzi, ormai neanche più il partito è l’attore protagonista ma l’unica persona al comando fa il bello e il cattivo tempo. Le ultime amministrative e lo scenario che si prospetta alle prossime politiche stanno facendo si che si rafforzi un pensiero che da troppo tempo è in me.
Abbiamo per anni criticato, e continuiamo a farlo, la prima repubblica e con essa i suoi metodi; certamente sono cambiati i tempi, le priorità, i modi, ma qualcosa di buono anche lei lo ha avuto: portava in seno una scuola politica. Chi si approcciava al mondo politico-amministrativo era, se si può dire, preparato, faceva la “gavetta”, affiancandosi ai veterani della politica, imparava ad essere un vero amministratore, partendo come consigliere comunale, poi assessore, poi passava alla provincia, e così via.
Certamente, questi metodi di insegnamento sfornavano, forse, politici che erano più strateghi che amministratori (la differenza è sostanziale). Ci troviamo oggi però, davanti ad una situazione ben peggiore: abbiamo a livello nazionale ma soprattutto locale, personaggi, che pur non avendo una minima e vaga idea di ciò che significa amministrare, si lanciano in esperienze gestionali della cosa pubblica, credendo che governare un ente come un comune o una provincia, sia identico al far parte del direttivo della bocciofila.
Viviamo in un momento storico in cui le ideologie che muovevano la politica fino a pochi anni fa, sono finite; se fino a prima l’elettore esprimeva il proprio consenso ad un politico-amministratore per appartenenza ideologica, e non per capacità amministrativa (chi si metteva in gioco era per forza preparato culturalmente e tecnicamente), oggi si premia l’uno o l’altro per simpatia, votando di pancia, non premiando le capacità amministrative.
Il terzo millennio non lascia più spazio per gli improvvisati e impreparati. Chi di noi si farebbe operare da un medico chirurgo non laureato, o se laureato radiato dall’ordine? Chi di noi dovendo costruire una casa si affiderebbe ad uno che non è geometra, architetto o ingegnere? Ognuno di noi quando si affida ad un professionista pretende che sia preparato, che abbia gli adeguati requisisti scolastici, che sia iscritto ad un ordine professionale e che, se possibile, abbia una adeguata esperienza.
È proprio per questo motivo che fin dal medioevo nacquero le corporazioni, tramutatesi poi nei secoli fino ad arrivare al XX secolo con la formazione di ordini professionali: per garantire un alto livello di professionalità e competenza offerta dal professionista nella prestazione. Quindi mi chiedo. Se per fare il medico chirurgo è necessaria una laurea in medicina, una specializzazione e un esame di stato, se per fare l’avvocato è necessaria una laurea in giurisprudenza, un tirocinio e un esame di stato e così via per tutte le professioni degli ordini, perché per fare l’amministratore non è richiesto alcun requisito? Il politico non è colui che grazie alla propria preparazione, alle proprie capacità e competenze deve gestire al meglio la cosa pubblica? Chi attesta che abbia i requisiti per farlo? Credo che sia giunto il momento in cui anche i politici debbano essere iscritti ad un albo, un ordine che ne attesti veramente la preparazione amministrativa, con un esame per accedervi, con formazione continua obbligatoria e al quale debbano rispondere anche secondo un codice deontologico. Eviteremmo peudoamministratori locali che non distinguono una delibera da una determina, una mozione da una interrogazione o peggio ancora che non riescano ad azzeccare mezzo congiuntivo.
Caffarra Maicol
Pomponesco (MN)