AUTONOMIA 1 – Paolo Franco: Legge quadro, un gioco dell’Oca per l’eterno rinvio

2 Maggio 2022
Lettura 4 min

di Paolo Franco – Si avvicina a rapidi passi il quinto anniversario della richiesta da parte di Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto dell’attribuzione di maggiore autonomia su alcune materie.

Oggi le forze politiche, compresa la Lega di Salvini, sostengono l’approvazione di una “legge quadro” spacciandola come la concessione dell’autonomia differenziata alle Regioni che ne hanno fatto richiesta secondo l’articolo 116 della Costituzione.

Faccio prima alcune brevi considerazioni politiche e successivamente affronto il tema tecnico-giuridico della cosiddetta “legge quadro” (la definizione non è stata virgolettata a caso).

Non mi è possibile parlare dei contenuti specifici in quanto, finché la “legge quadro” non è depositata (se mai lo sarà) si possono fare considerazioni non attinenti, anche se le notizie che si leggono a proposito dei lavori della Commissione dei consulenti del Ministro per gli affari regionali sono poco incoraggianti.

Certo è che siamo in presenza di un Parlamento incapace di assumersi la responsabilità di operare secondo le giuste richieste dei propri cittadini e di affrontare i compiti che gli sono assegnati dalla Costituzione. Sia la nomina del Presidente del Consiglio Draghi che la riconferma del Presidente della Repubblica Mattarella sono avvenute in circostanze pietose, dove l’unico collante che accomunava i nostri rappresentanti è stato quello che li vedeva mantenere in piedi una legislatura inutile e dannosa. Inoltre, confondere, rinviare, sminuire, annacquare il progetto politico sostenuto fortissimamente dai cittadini lombardi, veneti ed emiliani nell’assoluto rispetto della Costituzione, dà la misura di quanto la pervicace burocrazia romanocentrica abbia la meglio su di una classe politica di scarso profilo. Purtroppo, il partito che era stato alfiere di questo processo autonomista, la Lega, ha abdicato disonorevolmente ai propri princìpi, e questo rende i suoi esponenti doppiamente colpevoli. Anche perché i pochi che hanno il coraggio di denunciare questa situazione vengono subito sopraffatti dagli “yes-men” salviniani.

Vengo ora alle questioni legate a quanto sta succedendo nel procedimento legislativo, cercando di semplificare e rendere comprensibile il guazzabuglio che cercano di farci passare come autonomia.

La riforma costituzionale del 2001 ha introdotto la possibilità della cosiddetta “autonomia differenziata”. Il terzo comma dell’articolo 116 scrive: Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.

Prendiamoci venti secondi e rileggiamo questo comma… ebbene quello che sta accadendo adesso – cioè il procedimento che pare stia per essere partorito – è (invece) questo:

1) il Parlamento approva una “legge quadro” che indica i limiti e le modalità per cui qualsiasi Regione possa chiedere maggiore autonomia.

2) La Regione chiede e raggiunge una intesa preliminare con il governo.

3) L’intesa va portata, discussa e votata nelle commissioni parlamentari competenti.

4) La Regione accetta (o meno) quanto approvato dalle commissioni.

5) In caso affermativo Governo e Regione firmano l’intesa definitiva.

6) Il Parlamento approva o respinge l’intesa.

Voci di corridoio dicono che, nell’approvazione di questa “legge quadro”, dovrebbe esserci una clausola che salvaguarda le intese ad oggi già assunte tra Governo e Regioni: quindi il gioco dell’oca non ripartirebbe dallo zero ma dal punto 3. Anche in questo caso è evidente che tutto verrebbe rimandato alla prossima legislatura.

Mi pongo quindi questa domanda: che c’azzecca questo procedimento con quanto prevede il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione? Quello che sta accadendo, e che tutti gli esponenti politici dicono oggi di condividere, è che il “sistema” si è inventato una soluzione tortuosa (a mio avviso incostituzionale) in modo da spegnere ogni concreta velleità autonomista delle regioni. Anche perché, ed entriamo nel merito della questione centrale che sarà affrontata dalla “legge quadro”, oltre al procedimento pieno di pericolose buche, hanno inserito altre mine in questo percorso.

La prima riguarda la questione delle risorse. Sappiamo che sin dalla legge sul federalismo fiscale del 2009 era previsto che, nel caso di attribuzione alle Regioni di ulteriori competenze, si sarebbero dovute determinare le risorse per sostenerle. Semplice, vero?

Invece nella “legge quadro” con molta probabilità sarà scritto che – materia per materia – verrà istituito un fondo nazionale che sarà destinato in quota parte alla Regione che ottiene l’autonomia e il resto lasciato allo Stato per svolgere le medesime funzioni che rimarranno centralizzate.

Come verrà fatta la redistribuzione lo lascio immaginare a voi1. Questo è un modo di agire diametralmente opposto ai princìpi di sussidiarietà propri dell’autonomia e del federalismo fiscale, i quali, invece, richiedono che vengano appositamente impegnate risorse generate dai territori, IRPEF o IVA che siano. Questa seconda posizione è sostenuta dal Prof. Andrea Giovanardi, che è un tecnico membro della delegazione veneta nella trattativa con il Governo, il quale, però, per evitare quanto descritto poco sopra, propone che l’eventuale surplus della compartecipazione regionale alle imposte conseguente all’autonomia, venga condiviso con le regioni del sud. Per fortuna che Giovanardi è incaricato di sostenere gli interessi della Regione Veneto! Consiglierei al Professore di leggersi l’opuscolo “Autonomia, le 100 domande dei veneti a Luca Zaia” distribuito in vista del referendum del 2017 in ogni famiglia della Regione.

Inoltre, Giovanardi sostiene che si possa accettare che l’istruzione sia materia non trasferita alle Regioni. Mi domando se tutte queste sono opinioni condivise con le autorità politiche della Regione Veneto, insomma a che titolo parla il Professore. Anche in questo caso c’è da rabbrividire di come non sia rimasto quasi nessuno, tra politici e tecnici, che cerca di mantenere dritta la barra dei vascelli regionali che vogliono giungere nel porto dell’autonomia costituzionalmente riconosciuta. (1-segue).

1 Se non vogliamo fare sforzi di immaginazione pensiamo all’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) che, essendo regionale, sembra maturi e venga destinata alla Regione di competenza. Invece va nel calderone del fisco nazionale e redistribuita secondo i criteri che sceglie lo Stato.

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