di Riccardo Pozzi* – Nei grandi fiumi esiste sempre una parte che scorre con più forza e velocità rispetto al resto.
Nel fiume Po viene chiamata “al canal”, il canale. Questo fiume nel fiume, viene sbattuto da una sponda all’altra che, attraverso poderose e lunghe strisce di rocce chiamate “pennelli”, se lo rimpallano, curva dopo curva, da un lato all’altro dell’alveo.
Questo gioco di idraulica fluviale crea da un lato grandi sabbioni estesi e piatti , mentre dal lato opposto si generano ripide sponde sabbiose, piuttosto pericolose quanto affascinanti, dette “rivoni”.
I rivoni del Po attirano da secoli i pescatori più sensibili e i barcaioli più arditi, ingannano gli sprovveduti con la cedevolezza delle loro sabbie instabili, ma stregano con la loro improvvisa profondità e la corrente del canale che li disegna. Le sabbie dei rivoni sono ardite architetture stratificate che disegnano l’incessante modificarsi della grande anima, la perpetua agitazione del dio della termodinamica.
E’ di fronte ad uno di quelli, tra il pennello di San Nicolò Po e la località “cantone”, che all’età di dieci anni vidi una scena che non mi abbandonò più.
Un pescatore di Mantova, con lunghi stivaloni di gomma e poco equilibrio nell’acqua, fu inghiottito in pochi attimi dai gorghi plumbei del canale. Accadde davanti al mio muto e terrorizzato silenzio e non ne parlai mai.0
Fino al giorno in cui volli provare anch’io a pescare su un rivone, dovevo farlo per esorcizzare la paura che generava in me quel luogo. Mi vestii con calma e, senza stivaloni lunghi, andai al mattino presto nel rivone mortale di qualche anno prima.
Sono ancora idealmente su quella ripida sponda e cerco ogni giorno di farmi coraggio, dicendomi che è solo una ripida sponda.
Solo e soltanto un vecchio rivone.
Photo by Michael Niessl
Riccardo Pozzi*, lettore quotidiano lanuovapadania.it
