Covid, siamo tornati alle piccole botteghe. Il mercato di Piazza Wagner, la spesa come una volta

11 Luglio 2020
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di Laura Aresi – Tardo pomeriggio di un venerdì di luglio, piazza Wagner, a Milano. Il mercato coperto brulica di vita sotto il sole a picco, riparato dall’afa dai tendoni che incorniciano i numerosi negozi al suo interno. L’entrata, dall’inizio dell’era emergenziale, è unica, previo controllo discreto della temperatura: si accede dal lato che costeggia la chiesa di san Pietro in Sala, ricostruita in forme preromaniche nei medesimi anni in cui nasceva il mercato rionale permanente più antico e famoso di Milano – datato 1929 – sulla posa di una basilica di epoca borromea, a sua volta sorta su un tempio paleocristiano; anche l’uscita del complesso commerciale, dal retro, è accessibile da un percorso quasi obbligato ma estremamente arioso e fruibile.

Qui tutto parla di storia: i negozianti hanno in molti casi licenze pluridecennali. Come Vincenzo, il fruttivendolo il cui chiosco esterno guarda proprio in faccia la parrocchia. Fra un cliente e l’altro risponde alle domande, nel suo bel milanese pulito e non ostentato affinato da generazioni. «Siamo stati sempre aperti durante il periodo del lockdown, come tutti i commercianti di generi alimentari. E sebbene avessimo l’ingresso contingentato come i supermercati, eravamo tornati il punto di riferimento della zona perché la gente non aveva voglia di andare a fare la fila per ore: anche qui si doveva aspettare per entrare ma non così tanto».

Vincenzo è figlio di questo cielo e ne è orgoglioso: è qui in pianta stabile dal 1988, quando si rende indipendente dai genitori che gestivano un posteggio in zona. I suoi prodotti sono tutti rigorosamente di provenienza italiana: al mercato Wagner qualità e filiera sono fondamentali. Un avventore, di mestiere rappresentante farmaceutico, spiega che la carne che si trova dal macellaio è la migliore di tutta Milano e che durante la settimana viene a fare la spesa quattro volte con la fidanzata per la selezione della pescheria e la freschezza dell’ortofrutta, anche se non tutti i banchi sono per qualsiasi tasca.

«Nel tempo – spiega il fruttivendolo – il mercato stava perdendo attrattiva: la gente preferiva i centri commerciali, la vita in velocità. Ma con la quarantena improvvisamente abbiamo conosciuto un incremento inaspettato del lavoro: i ristoranti, le pizzerie, le mense erano chiusi e la gente pranzava e cenava sempre a casa. Per obbligo, certo, ma si riscopriva il piacere di stare in famiglia, di cucinare e di fare acquisti nel mercato sotto casa. E noi, per venire incontro alle esigenze delle persone, avevamo iniziato a fare rete anche nelle consegne a domicilio».

Lo smartworking, però, e il ritorno alla normalità dei movimenti, sono un’arma a doppio taglio per i negozianti del mercato. «Con l’estate il traffico si è ridotto e si sente ancora di più rispetto all’anno scorso proprio per via del successo della primavera. E si può lavorare col computer anche dal mare o dalla montagna, e le vendite sono nuovamente calate».

Eppure Vincenzo e i suoi colleghi possono ben sperare: la riscoperta dei negozi di prossimità durante il periodo di clausura ha fatto guadagnare l’affezione di diversi nuovi clienti, come Egle e Matteo che chiedono le fragole tenute al fresco del frigorifero e un bel melone per accompagnare il prosciutto, ma puntano anche i borlotti piemontesi e i magnifici cuori di bue che indossano il rosso carico del pomodoro maturo.

Mentre incarta i prodotti, il bottegaio regala ricette: «Mia moglie oggi a pranzo me li ha fatti in umido con un trito di salvia e rosmarino, una ricetta tipica milanese. Per le minestre in questi giorni fa un po’ troppo caldo» ammette dando il resto. Fra qualche giorno partirà per le meritate ferie, ma il centro in estate rimane sempre in attività: tranne la domenica e il lunedì pomeriggio di chiusura, si apre alle 8:30 del mattino fino alle 13:30, poi chi lavora in questi mesi torna in negozio alle 16:30 con una tirata unica fino alle 19:30.

«Mi auguro che per settembre il virus sia solo un pallido ricordo, e che il lavoro torni ai livelli degli altri anni e anche di più. E’ stato un anno di grande tensione psicologica ma abbiamo anche imparato molto». Parole semplici e sagge, che provengono dal cuore pulsante di una tradizione padana ritrovata nella sua autenticità e floridezza di un tempo: quella dei mercati coperti, oggi sempre più dimenticati e sovente abbandonati nelle loro infrastrutture, se non – peggio – disgraziatamente abbattuti.

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