Il carovita pesa su chi vive nel milanese, e sta mettendo in sofferenza il ceto medio: se infatti nel 2019 solo il 19,7% risparmiava meno del 5% del salario, nel 2023 questo dato sale al 44,3% (+124,5%). Nel 2019 chi riusciva a mettere da parte almeno il 20% della busta paga mensile era il 43,6%, nel 2023 solo il 17,6%. Si fa molta attenzione ai prezzi dei beni alimentari, si taglia sui consumi energetici, si ricorre ai prestiti, si sacrificano le spese legate alla socialità e al tempo libero, ma c’è anche chi è costretto a ritardare il pagamento di mutui e bollette o, addirittura, rinuncia a curarsi. Aumenta il ricorso ai risparmi in banca, preoccupa l’eventualità di dovere fare fronte ad impegni economici imprevisti. La casa, poi, resta un miraggio. Insomma, è l’immagine di una città in sofferenza quella che emerge dall’indagine ‘Milano quanto mi costi?’ promossa dalla Cisl milanese e realizzata da BiblioLavoro, il centro studi regionale del sindacato. Quello che preoccupa ancora di più e l’analisi del campione preso per questa inchiesta: non poverissimi, precari o indigenti, ma classe media. In poche parole, come sottolinea il segretario Cisl milanese Eros Lanzoni, “una fascia sociale composta da persone con un lavoro a tempo indeterminato e un reddito fisso, che fino a poco tempo fa, almeno a prima della pandemia, era considerata al riparo dal rischio di cadere in povertà o comunque di dovere fare grossi sacrifici per riuscire a vivere nell’area più produttiva del Paese”, ma “oggi non è più così e i dati lo dimostrano”. Un esempio per dipingere quanto espresso da Lanzoni: negli ultimi anni a Milano e dintorni l’80% ha attinto al conto in banca per fronteggiare l’aumento del costo della vita e il 40,5% lo ha fatto “spesso”.
I ricercatori hanno realizzato un questionario con 20 domande a cui hanno risposto 2.953 iscritti (53% donne), per il 46% residenti a Milano, il resto nell’area metropolitana. L’80,6% è composto da lavoratori (il 91,9% con un contratto a tempo indeterminato), il 16,5% da pensionati. Il 77,4% è nella classe fra 36-65 anni (gli under 36 sono l’11,2%), il 53% è coniugato, il 28,6% single (33% a Milano), il 44,8% ha figli a carico. Per quanto riguarda la Ral personale (Retribuzione annua lorda), la fascia più rappresentata si concentra fra i 28.000 e i 50.000 euro (46,8% a Milano, 43,3% nell’area metropolitana). Quasi l’83% ha una casa di proprietà, il ricorso ad una abitazione in affitto è più elevato fra i giovani (il 38,7% nell’area metropolitana, il 47,2% a Milano: qui il 18% dei lavoratori under 36 vive addirittura in una stanza). Oltretutto, come ricorda lo stesso Lanzoni, questa fascia di popolazione non può neanche contare “su sostegni e risposte, se non occasionali, che il sistema pubblico riserva generalmente solo ai più fragili”. La ricerca ha evidenziato una serie di parole ricorrenti e misure che gli intervistati indicano come utili per affrontare la situazione: innalzamento dei salari, politiche abitative, maggiore attenzione alla sanità pubblica, calmierare i prezzi dell’energia, reintrodurre meccanismi che evocano la scala mobile, calmierare i prezzi della spesa alimentare, reintrodurre sistemi simili alle gabbie salariali, supportare le politiche familiari, favorire gli investimenti nella mobilità e potenziare la diffusione del welfare contrattato.
Allo stato attuale, alla domanda “Se domani ti capitasse un impegno imprevisto da 1.500 euro saresti in grado di fronteggiarlo in autonomia?” il 32,3% ha risposto negativamente, un dato che sale al 44% fra chi ha un reddito fra 15.000 e 28.000 euro, al 47,7% fra gli under 36, al 51,2% fra gli stranieri. Gli intervistati hanno segnalato un lungo elenco di sacrifici e azioni che mettono in pratica, anche gravi, come risparmiare sulla spesa acquistando meno prodotti o di qualità inferiore (71,2%); tagliare una parte di consumi (riscaldamento, elettricità, 52,1%); rinunciare a servizi/acquisto di beni per i figli o i familiari fragili (27,5%); rinunciare a curarsi (26,6%); ricorrere a prestiti presso istituti di credito (24,9%) o famigliari/amicali (23,6%); ritardare il pagamento di bollette (20%) o di rate di finanziamenti/mutui (8%). Da segnalare che le prime rinunce si fanno sulle spese per il tempo libero, tagliando su viaggi e vacanze (59,2%), attività sociali e di svago (bar, ristorante, 57,9%), culturali (concerti, teatri, musei, 57,8%), sportive (piscina, palestra, 52,2%). Il reddito personale è la caratteristica più impattante (meno reddito più rinunce), ma i sacrifici tendono ad aumentare fra i giovani, i single (in particolare i divorziati/separati), le donne, gli stranieri, tra chi ha forme di lavoro precarie. In tema di energia, solo il 4,7% degli intervistati ha dichiarato di non aver cambiato comportamenti. Tra le azioni più frequentemente messe in campo troviamo “Prestare attenzione allo spegnimento delle luci” (66,7%), “Abbassare la temperatura del riscaldamento” (66,2%), “Concentrare l’utilizzo degli elettrodomestici nelle fasce orarie economiche” (54,4%), “Utilizzare le modalità ECO dei dispositivi” (52,1%).
Per quanto riguarda il caro spesa, appena il 7,4% ha mantenuto invariate le proprie abitudini. Al contrario il 68,1% evita di acquistare alimenti che non siano strettamente necessari; il 48,1% presta maggiore attenzione ai prezzi cercando le marche più economiche; il 36,9% si rivolge più frequentemente che in passato ai discount; il 36,1% acquista meno carne e pesce; il 24,1% compra meno alimenti in generale; il 12% taglia su frutta e verdura. Interrogati rispetto ad un giudizio generale sul caro vita gli intervistati hanno espresso giudizi preoccupanti non solo sull’abitare (il 65,5% ritiene i costi ingestibili), ma anche sulla possibilità di trascorrere del tempo libero all’interno della città (per il 46,7% è economicamente proibitiva). Dopodiché, è stata posta una domanda verso quali ambiti principali la Cisl dovrebbe orientare la propria azione. Si sono ottenute 1.524 risposte e 20.293 parole, tematizzate attraverso la ricorrenza di tag tematici: i tre più frequenti sono stati “Innalzamentosalari” (37%), “Politicheabitative” (23,8%), “Sanità” (13,5%). Nella top ten dei tag si parla anche di prezzi dell’energia, Scala mobile, prezzi per la spesa, gabbie salariali, politiche famigliari, mobilità, welfare contrattato. L’idea di legare in qualche modo lo stipendio alla realtà economica e/o geografica si fa strada fra gli intervistati: il 7,8% chiede che sia indicizzato all’inflazione, il 7,2% al contesto territoriale. Insomma, come dice un intervistato, “non è possibile vivere a Milano con gli stipendi del resto dell’Italia, ma ci vuole un salario milanese”.
“Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi, ma- aggiunge Lanzoni- si possono cominciare a trovare delle risposte a livello locale. La prima strada da seguire è il potenziamento della contrattazione territoriale, che non è ancora abbastanza diffusa, e che dovrebbe coinvolgere anche le istituzioni, a partire dal Comune, e poi occorre insistere sulla contrattazione aziendale, da estendere maggiormente anche nelle realtà più piccole”. Per il segretario Cisl milanese “è infatti lì che si possono individuare misure condivise in termini di produttività, salari, welfare, incentivi, conciliazione vita e lavoro, continuità lavorativa per evitare vuoti retributivi e buchi pensionistici. E poi si deve agire per coinvolgere maggiormente i lavoratori nella vita dell’impresa, così come prevede la proposta di legge di iniziativa popolare sulla Partecipazione proposta dalla Cisl e ora giunta in Parlamento. Un loro maggiore protagonismo porterebbe benefici anche sul piano economico”.