Boni: Diserto i 50 di Regione Lombardia. Nessuna autonomia con governo della Salvini Premier. A noi manca un Puigdemont!”

7 Luglio 2020
Lettura 3 min

di Stefania Piazzo – 50 anni di Regione Lombardia. “Una Regione conciata peggio di quando io facevo il presidente del Consiglio. Una Regione che produce fatturato e tasse, tant’è che io ho fatto la scelta di qualsiasi altro lombardo che è di essere in giro a lavorare”. Che parla alla nuovapadania è Davide Boni. Da ex presidente del consiglio regionale avrebbe dovuto essere presente alle celebrazioni solenni del 50° della sua regione. Ma così non è.

Uno storico e solido passato nella Lega, ora segretario nazionale della Lombardia per la confederazione di Grande Nord, Boni ha bisogno di comunicare il suo dissenso, e la sua distanza da quella che oggi è la partita sovranista del corso salviniano.

“La Regione non ha bisogno di cerimoniali – ci dice – ma di gente che faccia le cose, ha bisogno di un parlamento che non sia supino alle decisioni che prendono a Roma. A quasi 1000 giorni di richiesta di autonomia negata, oggi sono lì a fare la festa del parlamento della Regione, della terza camera istituzionale di questa Repubblica. E’ assurdo. Cosa festeggiano, le loro gesta?”.

Facendo un bilancio sul podtcovid, che valutazione dà all’operato dell’amministrazione Fontana?

“Non può che essere negativa, ma non tanto per gli uomini. Ma perché la Regione ne è uscita svilita. La prima Regione d’Italia è andata solo ad uno scontro, tra virgolette, istituzionale, lamentandosi di non essere aiutata da Roma. Che errore! La partita era un’altra, era mettere i piedi nel piatto. L’hanno fatto tante altre Regioni. La Lombardia no… Non si può pensare che non si intervenga di propria iniziativa rispetto alle attività imprenditoriali. La Regione doveva assumersi delle responsabilità, strappare con le posizioni rigide, prendendo posizioni anche anticostituzionali. Non può essere tutto ridotto ad un bollettino quotidiano di quanti morti ci sono e quanti non ce ne sono. Stiamo parlando della Regione Lombardia. Io avrei assunto posizioni politiche molto forti”.

Materialmente cosa, Boni?

“Avrei gestito il punto come metodo, come ha fatto Zaia, magari anche sbagliando in alcuni passaggi, ma prendendo posizione. Ma con una assunzione di responsabilità diretta, mettendomi a competere sui bisogni del territorio senza aspettare il prefetto. Qui invece abbiamo aspettato i prefetti e i questori. Dovevano essere fatte scelte radicali. Sento dire “Adesso aspettiamo i soldi da Roma”. Ma ragazzi, i soldi da Roma sono i nostri soldi. Era qui che bisognava impuntarsi. Anziché rafforzare la richiesta di autonomia, abbiamo dato un’immagine opposta. Abbiamo dato in mano al governo nazionale il sistema, perché siccome le regioni non erano in grado di gestire le cose, è meglio avere un controllo centralizzato. Questo gli abbiamo fatto dire. La Regione doveva trattare col governo nazionale da pari, non da subalterni”.

Sotto il profilo economico cosa avrebbe fatto?

“Avrei chiuso il rubinetto. E con questa “minaccia”, avrei riaperto la questione dell’autonomia, ma vera però. Eravamo spaventati? Bene, ma è quando la pressione sale che gli uomini tirano fuori il coraggio. Le cose si fanno! Se aspetto che sia il ministro degli Interni a dire cosa fare non si va da nessuna parte. Io avrei fatto un fronte, e avrei trattato”.

Zaia ha rotto gli argini sul fronte sanitario, ma non su quello della partita dell’autonomia, però. E’ rimasto allineato, non ha detto: andiamoci ora a prendere l’autonomia, pur essendo la Regione che l’ha votata più convintamente.

“Non ha osato andare fino in fondo, è vero. Quando ti giochi partite di questo livello non te le giochi sul piano del pericolo personale, sono battaglie di principio. Non vanno enunciate, vanno vissute. Puigdemont ha preso una posizione, ed è scappato dalla Spagna. Ha fatto delle scelte mitiche. Oggi ne abbiamo uno di Puigdemont, di capitani coraggiosi?”.

Alla classe politica manca il coraggio di battersi fino in fondo per la libertà?

“Veda lei… E’ stato un bel sogno l’autonomia, non l’hanno raggiunta. Ma non celebriamo allora 50 anni di Regione. E’ prostrarsi di fronte ad una situazione kafkiana. Ci autocelebriamo di essere un ente? Va benissimo! Ma oggi ho preferito andare a lavorare come tutti i lombardi. Rispetto ai 50 anni di questa Regione meritano di più forse i 100 anni della bocciofila della Martesana, sono sicuramente più avanti quelli della bocciofila che almeno fa quello che vuole. Oggi servono responsabilità personali di coerenza e coscienza politica. Non puoi dire “noi siamo qui per cambiare ma non ce lo fanno fare”. Allora vuol dire che lì non servi. Abbiamo portato avanti più cose noi con Formigoni che ora questa gestione a trazione salviniana. Cosa serve stare lì? Litigare col ministro Boccia!?O litigare con Speranza? La magistratura fa paura? Non si sono mai viste rivoluzioni culturali e istituzionali senza che qualcuno non ricevesse un avviso di garanzia”.

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Direttrice: Stefania Piazzo
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