di Roberto Gremmo – L’uccisione proditoria dell’orso nel Trentino è un delitto contro le leggi di natura, che impongono un equilibrio fra gli esseri viventi, non la soppressione degli esseri che danno fastidio.
Come biellese, ho anche un motivo tutto campanilista per sdegnarmi perché un grande e maestoso orso ed un leccio delle nostre valli sono stati scelti come emblema araldico della città di Biella.
La decisione è del Trecento e non fu casuale, ma nel profondo derivava dalla volontà di ricordare che il grosso animale fu quasi certamente, come vero re della foresta, un totem identitario della gente biellese. Non per caso, l’immagine in pietra d’una vecchia che simboleggia l’arcana credenza nella “terra madre” con accanto un orso mansueto ed ammansito è stata incisa su un grande masso in val dal Sarv, dove biellesi e valdostani fraternizzavano su un attivi sentiero alpino.
Ancora l’orso diventa virtuale simbolo di fraternità alpina, perché oltre che di Biella è emblema di Appenzel, San Gallo e Berlino.

Oggetto di culto nei tempi della civiltà pre-indoeuropea, l’orso è stato poi vittima dell’uomo, ed ha ragione lo studioso Giorgio Coppin a ricordare che proprio l’individuo cosiddetto ‘civile’ “ne insidia l’esistenza indirettamente, in un modo più subdolo, ma ancora più pericoloso ed efficace, attraverso le modificazioni irresponsabili ed i degradi che sta provocando sugli ambienti e sugli equilibri naturali delle regioni più popolate e industrializzate”. Speravamo che il Trentino fosse un’isola felice, e invece non e’ stato così.