di Cuore Verde – Nel 2012, il M.I.L. – Movimento Indipendentista Ligure – (cessato nel 2015), in suo volantino scriveva “Tasse portuali” ( 3-4 MILIARDI di euro all’anno !) Devono servire, prima di tutto, a “mettere in sicurezza” il nostro TERRITORIO ! Siamo FAVOREVOLI ad uno SVILUPPO del Porto di GENOVA che avvenga “verso il mare”, ANCHE con opere COSTOSISSIME ! Il Porto di Genova produce 3-4 MILIARDI di euro di “tasse portuali” che ogni anno vanno a Roma !”.
Nello scorso mese di agosto, Spediporto, l’Associazione Spedizionieri, Corrieri e Trasportatori di Genova, ha pubblicato sul suo sito una nota dal titolo molto esplicito “Entrate fiscali, l’IVA prodotta dai porti liguri è quasi quanto gli incassi imposte sui tabacchi” corredata da una tabella comparativa con altre entrate dello Stato.
Ecco il testo: “I porti liguri e più in generale quelli italiani, producono un gettito IVA da record per lo Stato ma, in cambio, ricevono le briciole. Per dare un’idea della proporzione rispetto agli incassi dello Stato da altre imposte indirette, i porti di Genova e Savona, da soli, portano più soldi rispetto al bollo auto, al lotto e quasi quanto le imposte sui tabacchi. Il dato emerge dalla recente ripartizione che riguarda l’IVA prodotta nel 2021 e legata alla legge portuale “Autonomia finanziaria delle Autorità di sistema portuale e finanziamento della realizzazione di opere nei porti”.
Un fondo che, peraltro, è stato dimezzato rispetto a quanto sarebbe previsto (l’1% dell’Iva prodotta). Per quanto riguarda i porti liguri, Genova, Savona e La Spezia, insieme hanno portato nelle casse dello Stato, circa 650 milioni di euro , il 31% del totale raccolto dai porti italiani, che si attesta intorno a 20500 milioni di euro, mentre la Spezia, con oltre 2000 milioni di euro raccolti, ne rappresenta l’12%.
E cosa torna indietro? Una miseria: 10 milioni e mezzo ai porti di Genova e Savona, poco più di 4 milioni alla Spezia. Poco anche per il ruolo delle attività portuali italiane nello scacchiere europeo dove, con l’8% contribuiscono al valore aggiunto lordo dell’economia del mare continentale (dati Unioncamere-Centro Studi Tagliacarne).
“Il sistema dei porti liguri si conferma tra i più importanti contribuenti italiani ed europei per quanto riguarda gli incassi Iva“ , osserva Giampaolo Botta, Direttore Generale Spediporto che aggiunge un ulteriore elemento di riflessione.
“A fronte di un ruolo così importante e strategico – spiega – nelle casse del sistema portuale e della nostra regione resta poco o nulla. Eppure questi numeri ben evidenziano quanto la logistica portuale, che supporta l’intero sistema produttivo italiano, sia ciò che rende di più allo Stato italiano”.
In poche parole, quasi 10 miliardi di IVA prodotti dai porti liguri “che ogni anno vanno a Roma!” come scriveva il M.I.L. nel 2012, e dei quali, come appunto ha osservato in questi giorni Giampaolo Botta, Direttore Generale di Spediporto, “nelle casse del sistema portuale e della nostra regione resta poco o nulla”.
Spediporto è la più grande associazione italiana delle case di spedizione internazionali marittime. L’intervento del suo Direttore Generale sulle “tasse portuali” non dovrebbe passare inosservato da parte dell’intero mondo politico ligure che si appresta ad affrontare le elezioni regionali.
Non credo tuttavia che la questione si possa limitare solo alla definizione delle quote o percentuali di “tasse portuali” da assegnare ai porti e alla Regione. La politica dovrebbe introdurre nel dibattito pubblico, anche in vista delle prossime elezioni regionali di ottobre, un più ampio progetto di vera autonomia dei porti liguri. Genova, ai tempi dell’antica e secolare Repubblica, quando le decisioni politiche del Doge e del Senato determinavano le sorti della città, del suo porto e dei suoi affari politici ed economici, assurgeva al rango di potenza marittima mondiale.
In quest’epoca moderna, la città e il porto appaiono invece come due entità distinte, gestite da mondi di potere separati che, quando si incontrano, lo fanno in forme che, in certe occasioni, ai cittadini rischiano di apparire non del tutto opportune. Una soluzione per ritrovare questa unità, politica ed economica, tra la città e il suo porto potrebbe essere l’elezione diretta da parte dei cittadini genovesi del Presidente dell’Autorità Portuale.
Aggiungo una mia considerazione personale. L’enorme flusso di risorse derivante dalle “tasse portuali” potrebbe certamente essere utilizzato per lo sviluppo del porto di Genova, ma per la nota scarsità di territorio, questo sviluppo è auspicabile che avvenga “verso il mare” come riportava il volantino del M.I.L.. In questo senso, se vogliamo pensare veramente in grande il futuro di Genova, bisognerebbe avere l’audacia e l’intraprendenza di recuperare la parte che, secondo me, pur non essendo un “tecnico”, potrebbe essere realizzata del controverso progetto Atlantropa dell’architetto tedesco Herman Sorgel: Nuova Genova.
Il progetto Atlantropa, pianificato nel 1927, ebbe forte risonanza nell’ambiente intellettuale della prima metà del XX secolo. Senza alcun dubbio, molte parti del progetto sono effettivamente irrealizzabili. La costruzione della Nuova Genova, praticamente in mare come una specie di anello all’esterno della città vecchia, mi sembra possa tuttavia prescindere dalla edificazione della grande diga sullo stretto di Gibilterra posta alla base del progetto Atlantropa.
Si potrebbe così liberare la vecchia Genova da infrastrutture, impianti industriali, depositi portuali ed edifici più o meno moderni ed ormai obsoleti mantenendo il suo porto antico.
Si potrebbero poi ricostruire gli antichi quartieri distrutti da impeti “modernisti” ormai superati. A quel punto, Genova tornerebbe ad essere una potente città-stato a livello mondiale come ai tempi dell’antica Repubblica.