di Gigi Cabrino – C’era da aspettarsi l’inizio di una graduale riduzione delle larghe misure espansive iniziate con le manovre di bilancio ai tempi della pandemia, e nonostante la narrazione di un governo a guida Meloni deciso a non farsi dettare i bilanci dai burocrati dell’Unione Europea, il primo DEF del governo Meloni è improntato ad una prudenza superiore alle attese.
Sono in corso da alcuni mesi le trattative in seno all’UE per la revisione del patto di stabilità, e anche se non è immaginabile un ritorno all’austerità senza se e senza ma i conti pubblici devono, giustamente , tornare ad una sana prudenza.
Ed è così che il governo ha licenziato un DEF decisamente meno espansivo rispetto a quelli degli anni precedenti, prevedendo un graduale riduzione dei bonus fiscali degli anni scorsi; di per sé non è né un bene né un male: è un fatto.
Gli economisti si stanno confrontando con analisi e studi sul primo DEF Meloni ma è curioso quanto ha notato Veronica De Romanis, economista della LUISS , ripresa da Start Magazine; secondo l’economista , che apprezza la prudenza nelle scelte di bilancio, le scelte prese dal governo rispecchiano alla perfezione la proposta di riforma del patto di stabilità e crescita caldeggiata – e non ancora approvata – dalla Germania con i paesi del Nord e quanto chiede Bruxelles.
“A me sembra un quadro estremamente prudente – ha sottolineato De Romanis commentando il Def – perché se andiamo a guardare i tre indicatori che sono quelli relativi alle regole di bilancio – che ad oggi sono sospese -, il famoso disavanzo strutturale, cioè il disavanzo al netto degli effetti del ciclo economico, quello che noi abbiamo messo dentro la Costituzione, ogni anno diminuisce dello 0,5, che è esattamente quello che ci chiedeva – vediamo poi se verrà cambiato – Bruxelles”.
“Il debito scende ogni anno di più o meno di un punto percentuale, che è poi molto simile alla proposta tedesca della revisione del patto di stabilità e crescita. E poi l’altro elemento, il disavanzo totale, il disavanzo nominale, nel 2025 arriverà al 3%, che è diciamo un traguardo assolutamente accettabile, che il governo potrebbe tranquillamente discutere a Bruxelles”.
“Quindi i tre parametri fondamentali per le vecchie regole, chiamiamole così, sono totalmente rispettati – ha rimarcato positivamente l’economista della Luiss – Io sono molto d’accordo con questa linea della prudenza e lo dico per due motivi: uno perché il quadro di contesto è completamente cambiato, la Bce non ci compra più il nostro debito, anzi lo vende. È cominciato quello che si chiama quantitative tightening – e questo è un problema per i Paesi come il nostro che ha venduto molto debito alla Bce. E i tassi di interesse continueranno ad aumentare perché, è inutile che ci nascondiamo, l’inflazione continua a crescere, soprattutto quella che si chiama inflazione core, cioè depurata dagli alimentari e gli energetici. Dati di marzo 6,4, per dare un’idea, a novembre erano 5,6”. “Quindi se andiamo a guardare un dato, interessi passivi, cioè quello che ci costa il nostro debito pubblico, che dobbiamo dare a chi ha comprato il nostro debito ogni mese, che è un trasferimento di risorse anche iniquo perché io prendo dalla collettività e lo do ai possessori di debito, quindi non la parte meno abbiente. Nel 2026 si tratta di più o meno 100 miliardi di spesa pubblica, molto di più di quello che noi spendiamo in istruzione”.
Conclusione di De Romanis: “Quindi avere un quadro prudente, continuare – perché questo è già stato fatto nella legge di bilancio – con un quadro prudente è fondamentale, è chiaro che gli spazi di manovra sono ridotti ma questo lo sapevamo. Come si dice in economia, il debito non è un problema finché non lo diventa”.
De Romanis, che è anche editorialista de La Stampa, quotidiano non certo vicino al Governo, intravede un avvicinamento della politica economica del governo ai “falchi dell’austerità” di Berlino e Bruxelles.
Sono lontani i tempi in cui Meloni lanciava appelli alla “sorda Germania” chiedendo l’uscita dall’euro….