Cuore a Palermo, direzione a Milano. Nasce nuovo leader del Monte dei Pegni. Cosa cambia per i nuovi poveri?

20 Aprile 2020
Lettura 5 min

di Stefania Piazzo – In un periodo in cui tutte le banche si uniscono per massa critica insieme, ecco fiorire un’altra banca, Banca Sistema. Il suo nome fa capolino in particolare in questi giorni per le lunghe file di cittadini che si sono recati al Monte dei Pegni, in particolare a Torino: lì si portano i gioielli di famiglia per avere in cambio liquidità. Siamo in guerra, il lavoro è fermo, occorre monetizzare.

Banca Sistema nasce nel 2011 ispirata della Fondazione Sicilia, legata al vecchio Banco di Sicilia. Si dirà: ma le fila al Monte dei pwgni erano a Torino. Cosa ci quaglia la Sicilia? Beh, ci arriviamo a capire perché.

Semplifichiamo. Molte banche di interesse pubblico, con la privatizzazione hanno portato la propria parte pubblica nella fondazione mentre la parte privata della banca è diventata spa. Le fondazioni, poi, sono diventate a loro volta azioniste delle banche e tutt’ora fanno beneficienza sul territorio.

Cosa accade a Palerno? Succede che la Fondazione Sicilia ispira la nascita di Banca Sistema. Qualche tempo dopo Banca Sistema acquista da Unicredit ben sei sportelli del Pegno, sportelli abbinati a banche pubbliche, con lo scopo di dare credito attraverso un istituto antico e solidaristico.

Unicredit come li aveva acquisiti? Erano stati assorbiti a suo tempo, come accadde per BancaIntesa, acquisendo diverse casse di risparmio, che avevano nel proprio patrimonio proprio diversi monti dei pegni.

Torino è uno dei più importanti, se non il più grande d’Italia, Venezia ne ha uno tra i più antichi che risale al 1700…

Poi arriva Banca Sistema, che va ad acquisire ciò che a suo tempo aveva acquisito Unicredit: sono proprio quei sei sportelli di altrettanti monti dei pegni (Torino, Napoli, Firenze, Mestre, Parma e Civitavecchia). A breve Banca Sistema ne acquisirà altri da BancaIntesa, tra cui lo sportello storico di Venezia.

Banca Sistema, infatti, ha creato un dipartimento che si chiama ProntoPegno, per essere operativa su questo fronte.

Di fatto ProntoPegno sta per diventare un leader del settore, con un capitale non indifferente.

L’attività del ProntoPegno fa senz’altro incassare soldi, e offre un servizio di grande impatto sociale. Ma perché costruirci una banca? Non poteva restare un’attività a sè?

Su un patrimonio così storico e di grande rilievo economico l’attenzione della politica non è mancata. In Regione Piemonte e in Regione Veneto sono state presentate due distinte interrogazioni, mentre pare che l’acquisizione dei 6 sportelli di BancaIntesa, sia stata posticipata al prossimo 8 maggio, ma potrebbe ancora slittare data l’emergenza covid.

Ed ecco cosa hanno chiesto rispettivamente il Pd in Piemonte e Siamo Veneto in Veneto attraverso alcuni interventi in aula.

E’ il 25 novembre quando la consigliera regionale Monica Canalis, vicesegretaria del Pd del Piemonte, chiede in una interpellanza di salvaguardare lo spirito originario del Monte dei Pegni, “istituzione nata per aiutare chi è in difficoltà”.
“La vendita del Monte Pegni da parte di Intesa Sanpaolo a un’altra banca – dice Canalis – rischia di far disperdere lo spirito originario di questa istituzione nata nel 1563 e ispirata a principi di solidarietà. Ma soprattutto potrebbe avere un impatto molto negativo sulla popolazione più povera
della città che oggi beneficia dei servizi del Monte Pegni, e che in questi ultimi dieci anni è notevolmente aumentata”.

Perché questa preoccupazione? Perché il timore di un impatto negativo sulla popolazione più povera se si tratta solo di un passaggio di proprietà, di gestione?

Ma se nessuno mette in discussione la serietà di BancaSistema, gli operatori bancari che stanno percorrendo la via del pegno come credito in tempo di crisi sono tanti. E forse occorrerebbe dovrebbe guardare il fenomeno a 360 gradi, perché le acquisizioni di sportelli sono tante e perché, accanto a iniziative serie, non vi sia il rischio di aprire la finestra a chi vuole solo speculare e usare il pegno come cavallo di Troia.

I clienti del Monte dei Pegni sono una ricca banca dati di potenziali clienti di finanziarie. E qui il discorso chiaramente esula da questo servizio. Comprendere la vastità del fenomeno che movimenta 33 miliardi di euro l’anno può generare appetiti non trascurabili.

Ma torniamo al contesto piemontese, che vede traslocare in una nuova banca la gestione di una istituzione storica. Scrive nella sua interpellanza Canalis:

“Il Monte di pietà, poi Monte Pegni, è un’istituzione storica di Torino. Nel 1563, infatti, era nata la confraternita religiosa della Compagnia di San Paolo che nel 1579 fondò il Monte di Pietà di Torino, nella via che oggi porta il suo nome. A partire dalla metà del Seicento il Monte di Torino gestì anche il debito pubblico dello stato sabaudo. Nel 1853 il Monte divenne una banca a tutti gli effetti, l’Istituto Bancario San Paolo di Torino, che preserva la sua vocazione originaria e continua ad esercitare tuttora, a fianco delle attività specificamente bancarie, l’attività di Monte dei Pegni”.

Ma ecco che si arriva alla cronaca.
“Sta circolando la notizia che Intesa Sanpaolo SpA stia portando a termine la vendita del Monte Pegni ad un’altra banca, che lo inserirebbe in una logica di carattere meramente industriale e non più solidaristica. Questa vendita comporta una perdita d’immagine per Intesa Sanpaolo (principale
Istituto di credito italiano, piemontese e torinese), che era nato proprio come Monte Pegni per aiutare le persone in difficoltà.
Questa vendita non compromette i posti di lavoro dei dipendenti del Monte Pegni, che verrebbero assorbiti dalla banca subentrante.
Questa vendita tuttavia comporterebbe la dispersione dello spirito originario del Monte Pegni, ispirato a principi di solidarietà, e soprattutto avrebbe un forte impatto sociale sulla popolazione che oggi beneficia dei servizi del Monte Pegni di Intesa Sanpaolo.
Sarebbe insomma una grave perdita per il tessuto sociale più povero della città di Torino, che in questi ultimi dieci anni è notevolmente aumentato”.

Poi c’è l’interrogazione di Antonio Guadagnini, consigliere regionale di Siamo Veneto, il 19 dicembre 2019, presentata alla giunta Zaia e in attesa ancora di risposta.

“Le prime notizie del Monte Pegni a Venezia risalgono agli inizi del 600 quando – scrive – a fronte del decremento notevoli negli scambi commerciali, i mercanti avevano bisogno di qualcuno che prestasse loro denaro, naturalmente coperti con un pegno: tale servizio veniva svolto presso il ghetto degli ebrei.
Nel 1700 venne regolamentato anche il sistema, per cui i banchi dei pegni potevano prestare denaro al popolo fino a tre denari (poi innalzati a sei) con l’interesse; nel mentre si creò il progetto di costituire un Monte di Pietà destinato ai ricchi mercanti più facoltosi, per operazioni da erogarsi dietro rilascio di pegni costituiti da drapperie, biancheria, ori, argenti, preziosi.
La Gazzetta Privilegiata di Venezia del 13 febbraio 1822 dava notizia dell’apertura della Cassa di Risparmio. Negli anni, raggiunse la piena autonomia amministrativa e gestionale mantenendo comunque sempre operativo il servizio Monte Pegni”.

Qual è la preoccupazione di Guadagnini rispetto al futuro di una istituzione nata senza scopo di lucro nel tardo medioevo, quando i frati francescani iniziarono a erogare prestiti alle migliori condizioni di mercato in alternativa al mercato usuraio, dando origine alle attività bancarie d’occidente?

Secondo Guadagnini, “la vendita del Monte Pegni ad un’altra banca… lo inserirebbe in una logica di carattere meramente industriale e non più solidaristica…
Questa vendita (che non altera il numero del personale, ndr) tuttavia comporterebbe la dispersione dello spirito originario del Monte Pegni, ispirato a principi di solidarietà, e soprattutto avrebbe un forte impatto sociale sulla popolazione che oggi beneficia dei servizi del Monte Pegni di Intesa Sanpaolo”.

Torino, insomma, come Venezia.

Da qui la necessità di interrogare “la Giunta per sapere quali azioni intenda intraprendere per limitare il negativo impatto sociale derivante dalla vendita del Monte Pegni di Intesa Sanpaolo.
Non essendoci ancora una trattativa precisa ma solo, leggiamo, un accordo vincolante, è possibile intervenire presso i vertici di Intesa Sanpaolo per ridiscutere di tale operazione mantenendo il servizio com’è attualmente e con la storica insegna “Cassa di Risparmio di Venezia”?”.

Perché tanta preoccupazione da parte dei consiglieri d’opposizione?

Sta per cambiare qualcosa nell’assetto solidaristico dei vecchi Monte Pegni o si tratta solo di un passaggio di consegne? Perché Unicredit e Intesa cedono questi ambiti?

Photo by Arie Wubben

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