CRONACHE DA MARTE – 75 miliardi di fondi Ue (gratis) inutilizzati. E ci fanno fare i debiti

4 Maggio 2020
Lettura 2 min

di Stefania Piazzo – Non è uno scherzo. E’ l’Italia. Che è assegnataria di 53 miliardi di fondi europei per il periodo 2014-2020. Sapete quanto i governi hanno speso? Solo 15 miliardi. Ci confermiamo come il Paese capace di sprecare ma incapace per cultura, buona amministrazione, di spendere bene quello che già è a disposizione. Mancano 38 miliardi da spendere. Ci chiediamo, nel piccolo della redazione: non si possono dare alle attività che stentano a ripartire? In più per il coronavirus sono stati stanziati altri 35 miliardi per famiglie e imprese. Sono 75 miliardi. Li abbiamo visti? Come li vogliono destinare all’emergenza?

E poi, problema non secondario, a chi darli? Unimpresa ha messo sul tavolo un’idea che chiude il cerchio: diamoli ai sindaci, diamoli ai territori, propone  il consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Pepe. Che però apre un focus su un altro disastro. Lo tsunami delle procedure.

«Nelle diverse fasi di attuazione delle opere pubbliche, la progettazione richiede tra i 2 e i 6 anni, l’aggiudicazione oscilla tra i 5 e i 20 mesi e la fase dei lavori varia dai 5 mesi agli 8 anni, fa riflettere come è grave l’inefficienza della burocrazia, del quadro normativo e dell’insieme delle procedure attuative: pensate che oltre la metà dei tempi dell’iter complessivo (il 54,3%) è costituita dai cosiddetti “tempi di attraversamento” che intercorrono tra la fine di una fase e l’inizio di quella successiva».

Secondo Pepe «occorre applicare il fondamento del principio di rotazione individuato tradizionalmente nell’esigenza di evitare il consolidamento di posizioni in capo al gestore uscente. Una norma semplice che ribadisce il vincolo dell’alternanza tra imprese impedendo, nella successione degli appalti (con lo stesso oggetto o commessa riconducibile allo stesso settore) che la stazione appaltante si rivolga (sia nell’affidamento diretto sia nel caso di procedure negoziate semplificate) sempre agli stessi appaltatori. Avviare lavori d’immediata attivazione semplificando, nel contempo le procedure di selezione, ad esempio: interventi di manutenzione straordinaria come strutture ospedaliere, scolastiche e riqualificazione sostenibile del patrimonio urbano ed edilizio pubblico. Cantieri da 5-8 mesi, selezionati e avviabili attraverso una regia nazionale per la gestione informatica delle domande». Il consigliere nazionale di Unimpresa spiega che «la media dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche è di 4,4 anni e varia da 2,6 anni per i progetti di valore inferiore a 100 mila euro a 15,7 anni per i progetti di valore superiore ai 100 milioni di euro».

Quanto alle risorse finanziarie, Pepe osserva che  «è necessario nel prendere i soldi dei Fondi strutturali europei, già liberati dall’UE, nell’ambito della Coronavirus response investment initiative, erogare liquidità ad imprese e famiglie per 37 miliardi di euro, senza la burocrazia ma attraverso l’autocertificazione e accredito immediato sui conti correnti.

E allora ci si chiede? Perché non prendono anche questi 37 miliardi? Sommati ai 38 già pronto sono 75 miliardi cash.

L’Italia, già destinataria per il ciclo di programmazione 2014-2020, di circa 53 miliardi di euro per il Fesr e il Fse (compresa la quota di cofinanziamento nazionale), secondo i dati di spesa al 31 dicembre 2019, comunicati dall’Agenzia per la coesione territoriale (Act), ha speso 15,187 miliardi di euro, quindi, poco più del 29 per cento dell’importo complessivamente programmato per il ciclo 2014/2020: altri 38 miliardi sono ancora da spendere.

IL GIORNALE

Direttrice: Stefania Piazzo
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