Catastrofe turismo invernale: meno 70% per piste da sci

20 Novembre 2020
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 L’Alto Adige e’ la destinazione multietnica dove il turismo e’ storicamente piu’ straniero che italiano anche se negli ultimi anni la gap si e’ accorciato. Quello altoatesino e’ un territorio con stazioni sciistiche quasi ovunque e che ha nelle Dolomiti, Patrimonio Mondiale Unesco il suo piatto forte. Sono stati i comprensori, la possibilita’ di caroselli su e giu’ dalle montagne dell’Alto Adige, territorio con piu’ praticanti a livello locale negli svariati sport della neve. Il coronavirus, che in provincia di Bolzano sta facendo segnare numeri preoccupanti, gia’ nell’inverno scorso ha fatto segnare perdite importanti per un’economia basata principalmente sul turismo. Nella stagione terminata ad aprile il numero dei pernottamenti e’ stato pari a 9,7 milioni per un calo del 22% rispetto a quella precedente (da novembre a febbraio presenze erano +9,9%). Nella stagione invernale 2019/2020 il numero di ospiti tedeschi si e’ avvicinato al dato di quello degli italiani. Dalla Germania le presenze sono state 3,6 milioni, ovvero un calo del 30% mentre quelle italiane sono state 3,5 milioni (-12,8%). Forte la riduzione degli ospiti svizzeri (-40%). L’unica Nazione che ha registrato una crescita nell’inverno scorso e’ stata la Norvegia con quasi 26 mila presenze (+36%).

 “Aprire per Natale? La vedo molto dura – spiega Valeria Ghezzi, presidente dell’Associazione Nazionale Esercenti Funiviari (Anef) – anche perche’ dobbiamo mettere in sicurezza le persone che sciano e garantire tranquillita’ nei soccorsi: impossibile con gli ospedali al collasso. Certo, se non apriremo prima di Natale, come impianti a fune e quindi a cascata tutta la filiera della montagna, la perdita sara’ del 70% ma ipotizzare una cifra del comparto montagna e’ impossibile”.

“In caso di apertura prima di Natale bisogna auspicare almeno la mobilita’ tra regioni ma verrebbero a mancare gli stranieri – aggiunge Ghezzi -. Aperture regionali? Forse Veneto, Piemonte e Lombardia potrebbero aprire e limitare le forti perdite con i loro residenti ma non saprei come potrebbero fare Friuli Venezia Giulia, Trentino, Alto Adige e Valle d’Aosta che sono territori prettamente turistici”. Parlando della stagione scorsa terminata il 9 marzo, prosegue, “e’ stato perso il 15% del fatturato di 1,2 miliardi di euro sull’arco alpino e almeno il 30% sugli Appennini perche’ in quelle zone la neve era arrivata tardi”. La presidente degli impianti a fune, ente con 15.000 dipendenti (un terzo a tempo indeterminato e due terzi sono stagionali), analizza che “per ogni dipendente che lavora sugli impianti a fune, la filiera ne genera da 5 a 8 che vanno dal cameriere al maestro di sci al commesso dei negozi”. Ghezzi, calcoli alla mano, sostiene che “seguendo il concetto di mantenere la montagna un presidio abitato, sono almeno 120-130mila le persone che lavorano in montagna nel periodo dicembre-Pasqua”.

Photo by Chris Biron 

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