Bassa produttività… e incapacità di spesa dei fondi europei. Inutile prendersela con Corte dei conti. L’Ue dice la stessa cosa. Faranno emendamento per chiuderle la bocca?

5 Giugno 2023
Lettura 2 min

di Gigi Cabrino – E’ dalla campagna elettorale della scorsa estate che il dibattito sulla revisione dei progetti del PNRR continua a tenere banco.

Affari Italiani ha pubblicato un’analisi in cui si mettono in luce da un lato i rapporti tra governo e commissione UE che non sono così logori come spesso vengono descritti, dall’altra i principali motivi che fanno temere al governo di non riuscire a portare a termine i progetti del PNRR, su tutti una progressiva perdita di produttività delle imprese italiane al confronto con quelle europee e, soprattutto, la nota incapacità di spesa dei fondi europei, con i continui rimandi tra stato centrale , enti locali, uffici di controllo e chi più ne ha più ne metta.

Nonostante la polemica sul ridimensionamento del ruolo della Corte dei Conti (con l’emendamento presentato dalla maggioranza al decreto sulla Pubblica amministrazione in cui viene tolto ai magistrati il potere di verifica e controllo sullo stato di avanzamento del PNRR), i funzionari della Commissione europea che si occupano di seguire le vicende italiane hanno parlato di “scambi costruttivi con le autorità italiane“, che “forniscono ulteriori informazioni ove necessario”.

Il riferimento – oltre alla bagarre sui giudici – è alla possibile richiesta di modifiche che Palazzo Chigi dovrà avanzare qualora capisse di non poter rispettare la deadline per accedere ai finanziamenti. Dopo le difficoltà per l’ottenimento dei 21 miliardi della terza rata di fine 2022 (con i soldi che non sono ancora arrivati, anche se tutti gli obiettivi sono stati raggiunti), ora lo stesso copione si sta ripresentando per la quarta tranche da 18,4 miliardi di euro prevista per questo mese. Anche in questo caso il governo sembra arrancare, ma ancora una volta il dialogo con le istituzioni comunitarie potrebbe garantire una maggiore flessibilità.

Il tutto, come si diceva all’inizio, mentre il nostro Paese continua a soffrire di un’incapacità strutturale nell’utilizzo delle risorse provenienti dall’Europa. A supporto di questa tesi ci sono due “fotografie”, una di recente realizzazione, l’altra che trova fondamento addirittura negli anni Ottanta del secolo scorso. È da quel periodo infatti che l’Italia ha iniziato a segnare il passo rispetto ai partner continentali a noi più affini. Come riportato in un recente studio realizzato dall’Eurostat, dal 1980 ad oggi, a livello di imprese e aziende, la nostra nazione ha perso 28 punti su cento di produttività rispetto alla Francia e ben 60 punti su 100 se paragonata alla Germania.

A questo si aggiunge il secondo “scatto”, quello relativo all’incapacità di spesa del nostro sistema. Un vulnus tanto amministrativo quanto burocratico, che risiede in particolar modo nel ping pong di responsabilità tra comuni, provincie, regioni e governo centrale. Anche in questo caso, basta un dato: su 91 miliardi di euro che il PNRR prevede siano spesi in opere pubbliche, al 31 dicembre scorso ne erano stati usati appena 7, cioè l’8%. Un segnale preoccupante, considerando che nei prossimi 3 anni bisognerebbe spendere i rimanenti 84.

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