Anno nero per bar, ristoranti e alberghi

26 Dicembre 2020
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 Il 2020 è stato un anno da dimenticare per il commercio. Praticamente ogni settore, a causa della pandemia covid-19, ha perso ingenti quantità di fatturato dall’abbigliamento alla pelletteria, dalle gioiellerie alle profumerie, ma chi veramente ha toccato il fondo quest’anno è il mondo dei pubblici esercizi, quindi ristoranti, bar, locali e discoteche. Ed il Natale non riuscirà a risollevare le sorti della maggior parte degli esercenti, anzi, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la chiusura disposta per tanti esercizi commerciali per la Vigilia di Natale, il 24 dicembre, che taglia fuori un’altra buona fetta di fatturato di quanti si sarebbero recati a fare regali last minute e per i ristoratori è la chiusura forzata durante tutte le festività fino alla Befana compresa. Una misura drastica per evitare le occasioni di contagio fuori dalle mura domestiche a cui il governo ha tentato di porre un ristoro con lo stanziamento di 645 milioni di euro, disposto nell’ultimo Dpcm. A pagare poi un prezzo altissimo, soprattutto negli ultimi tempi, sono stati anche i centri commerciali, perennemente chiusi nei festivi e nei prefestivi, quindi anche nei week end in tutta Italia. Uno tsunami che non sembra sfiorare, invece, l’elettronica, le cosiddette websoft (ad eccezione dei viaggi e dei servizi di trasporto online), oppure la farmaceutica e attività collaterali. Recenti stime delle maggiori confederazioni del commercio segnalano una situazione disastrosa. La Confesercenti parla di consumi “ai minimi storici” con 110 miliardi di euro in meno rispetto allo scorso anno e di una platea di 150 mila imprese a rischio chiusura, 80 mila nel commercio e 70 mila nel turismo; inoltre sono a rischio 450.000 posti di lavoro nell’ambito della somministrazione e dei servizi.

Uno scenario ancora più a tinte fosche, se possibile, viene descritto da Confcommercio nell’attribuire all’effetto Covid una riduzione netta del tessuto produttivo con 300 mila attività che chiuderanno i battenti, in prima linea bar e ristoranti. Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, chiede “moratorie fiscali più ampie e più inclusive fino all’esonero totale, per le imprese più penalizzate, come già deciso nell’ultimo Ristori Quater del governo. Inoltre una più ampia moratoria, oltre giugno 2021, servirà anche sul versante creditizio”. BAR E RISTORANTI – Il settore della ristorazione e della somministrazione è letteralmente al ”collasso”. Fortemente penalizzato non solo dal blocco totale delle attività nel periodo di Natale e nel primo lockdown, per la zona rossa, ma è stremato anche dai provvedimenti presi con le chiusure anticipate alle 18 (dal 26 ottobre), dal limite dei posti a tavola con un massimo di 4 persone, ecc. Baristi e ristoratori non sanno più come manifestare il loro dissenso per queste restrizioni e considerano anche gli ultimi ristori “inadeguati”, in media 3 mila euro ad azienda. Sono fortemente penalizzati e chiedono indennizzi al 75% dei fatturati calcolati sui mesi di novembre e dicembre, tra le altre misure la riduzione dell’Iva al 5% e la tutela degli sfratti. Il settore identificato dagli addetti ai lavori come Horeca (Hotellerie, Restaurant, Catering) si sta portando dietro anche la crisi dei consumi alimentari, soprattutto dei vini e dei cibi di qualità, che sono trainati dagli acquisti dei pubblici esercizi tanto è che il governo, ha stanziato risorse con il bonus ristoranti, fortemente voluto dalla ministra Bellanova, pari a 600 milioni di euro per acquisti made in Italy. Un contributo per arginare un crollo dei consumi alimentari di 41 miliardi di euro, solo in parte compensato dalla spesa alimentare domestica che nei primi 9 mesi del 2020, è aumentata del 7% su base annua, secondo le ultime rilevazioni di Ismea-Nielsen.

I centri commerciali e gli outlet perderanno il 75% del fatturato annuo nel 2020, secondo le stime del Cncc (Consiglio nazionale dei Centri commerciali). Una realtà economica di 140 mld di euro tra l’indotto diretto e indiretto sull’economia italiana, secondo una stima di Nomisma. Questi templi dello shopping, generalmente, sono frequentati da 10 milioni di clienti nei week end in Italia, impiegano circa 780 mila persone, dei quali ora sarebbero a rischio tra i 100 e i 150 mila posti di lavoro, a causa delle restrizioni decise dal governo per arginare le occasioni di contagio con le chiusure nei prefestivi e festivi di tutti i negozi a eccezione di farmacie, parafarmacie, presidi sanitari, punti vendita di generi alimentari, tabacchi ed edicole. Il paradosso poi, come segnala il Cncc, è che a parità di metratura, al di fuori dei centri commerciali, una grande struttura (di oltre 2mila mq) che vende complementi d’arredo, articoli di elettronica, di ferramenta o prodotti per il bricolage sarà aperta al pubblico, mentre un esercizio equivalente all’interno di una galleria deve stare chiuso nei fine settimana e negli altri giorni festivi e prefestivi. Una voce importante del retail che si è sentita discriminata e ha visto schierate su un fronte comune le principali associazioni del settore, Federdistribuzione, Cncc e Confimprese, che hanno chiesto a viva voce di restare aperti a dicembre senza peraltro riuscire a ottenere questo obiettivo. Ultimo in ordine di tempo l’appello di Cncc insieme a Confimprese, Aires e ai rappresentanti di circa 200 centri commerciali al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. A dicembre comunque, su un totale di 31 giorni, i centri commerciali resteranno aperti solo 13 giorni, a vantaggio dei negozi collocati nelle strade cittadine dello shopping che hanno visto, di recente, incauti assembramenti. Un 2020 a tinte nere viene confermato anche dall’osservatorio permanente di Confimprese-Ernst & Young con i dati di novembre che segnalano una perdita dei canali fisici del -64,9%, nelle categorie merceologiche l’andamento peggiore è quello dell’abbigliamento con -71,7%, seguito dalla ristorazione con -65%. 

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