L’impennata dei prezzi delle materie prime energetiche e la conseguente inflazione si stanno abbattendo sui bilanci delle aziende e rischiano di travolgere anche le sale giochi. L’aumento delle bollette diventa sempre più insostenibile e potrebbe portare al rallentamento, se non addirittura alla chiusura, di tante attività. Nei prossimi mesi, secondo l’Ufficio Studi di Confcommercio, sono a rischio circa 120mila imprese del terziario di mercato e 370mila posti di lavoro. Fra i settori più esposti ai rincari energetici anche 14mila punti specializzati nella vendita di giochi pubblici: sale slot, Bingo e agenzie di scommesse.
Se le aziende della grande distribuzione stanno segnalando incrementi del costo delle bollette mai registrati prima – in media tra 200-300% in più – anche per le sale giochi «i costi energetici sono più che raddoppiati, con rincari del 150%», spiega un addetto ai lavori ad Agipronews. «I maggiori costi delle bollette – prosegue – sommati alla situazione di crisi economico-finanziaria successiva alla pandemia, senza interventi di sostegno, come ad esempio il credito di imposta o prezzi calmierati, potrebbero costringere all’interruzione dell’attività almeno il 15% dei punti vendita». La stima è di circa 2.000 sale a rischio chiusura nei prossimi mesi e di circa 10.000 lavoratori che potrebbero presto trovarsi in una situazione di incertezza. Una pericolosa contrazione della rete retail che potrebbe aprire nuovi spazi di manovra all’illegalità.
«I rincari sono significativi», aggiunge Maurizio Ughi, vicepresidente di Agisco. Dagli aumenti si è ’salvato’ chi ha stipulato un contratto «con la componente bloccata, ma in altri casi abbiamo avuto bollette raddoppiate o triplicate. Per un’agenzia di 250 metri quadrati con sala fumatori siamo su una media di 4.500/5.000 euro, che per ora sono ammortizzati dalle misure del governo, altrimenti sarebbero insostenibili».
Nelle sale specializzate, continuano fonti dell’industria, è «difficile intervenire su una riduzione dei consumi, anche per ragioni normative: non solo ci sono le apparecchiature di gioco, ma anche gli impianti di condizionamento ed aspirazione e quelli di sicurezza, tutti obbligatori per legge». Tra una sala bingo, una sala vlt e un’agenzia di scommesse «quella che potrebbe soffrire di più è la sala bingo, per la dimensione dell’area in questione e gli apparecchi ad essa collegati», aggiunge invece Ughi.
«Il dato è presto detto – racconta ad Agipronews Salvatore Barbieri, presidente di Ascob, Associazione Concessionari Bingo. Se una sala bingo pagava 9.800 euro di corrente elettrica nel mese di luglio 2021 ora è costretta ad affrontare una spesa di 32.600 euro. La bolletta è più che triplicata. L’aumento è ancor più importante se si possiede più di un locale autorizzato. Ad esempio, quattro sale Bingo davano una spesa di 75.000 nel luglio 2021, ora si è passati a 276.000 mila euro». «Due giorni fa ho parlato con l’Agenzia Dogane e Monopoli per trovare qualche soluzione interna – prosegue Barbieri – come ad esempio la chiusura della sala in alcuni orari, perché qui non si riesce a stare in piedi. È veramente un salasso. La crisi si sente in modo abbastanza pesante, è un grossissimo problema». Tant’è che delle 196 sale Bingo presenti sul territorio alcune potrebbero non farcela: «Il 10-15% sono a rischio. Possiamo resistere al massimo fino alla fine dell’anno. Cerchiamo un dialogo con ADM per rivedere gli orari di apertura. Questa è una guerra a tutti gli effetti: le bollette sono aumentate del 400%. Questi rincari sono il colpo di grazia che nessuno si immaginava. Quale attività può reggere? La politica sembra distante anni luce da quello che sta accadendo sul territorio. Con queste chiusure si rischia di prestare il fianco alla rete di gioco illegale», conclude il presidente di Ascob.
Le soluzioni? Per Ughi «lo Stato deve continuare a ridurre la tassazione sulle bollette dell’energia» ma, in attesa di un intervento generale, qualche regola di “buona condotta” potrebbe comunque essere seguita per provare a mitigare l’impatto del caro energia, come ad esempio «spegnere le insegne luminose e le apparecchiature non necessarie in concomitanza con gli orari di chiusura, ridurre l’intensità luminosa del punto vendita e ridurre in modo significativo l’illuminazione in ambienti poco frequentati, regolare la temperatura ambientale, interrompere la funzione di riciclo dell’aria nelle ore notturne, tenere chiuse le porte di ingresso per evitare dispersioni termiche e razionalizzare l’organizzazione del lavoro al di fuori degli orari di apertura al pubblico», conclude un esperto del settore, che preferisce rimanere anonimo.