Tre Italie, il Centro punto di forza, il Meridione in declino, il Nord in cerca di autore

26 Agosto 2020
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di Sergio Bianchini – Ormai tutto il potere è in mano al sud. Ma non tiene. E’ la fine di un quarantennio di crescente peso del meridione nella vita dello stato. Giunto alla fase suprema il meridionalismo sta per crollare.

Con una potenza irresistibile, a partire dagli anni ‘70, il meridionalismo si è espanso occupando progressivamente tutto l’apparato statale. L’uso improprio del posto statale per dare un reddito fisso al ceto medio meridionale ha portato prima alla totale conquista dei posti nelle aziende statali come ferrovie , poste, aeronautica, poi gradualmente la scuola, i giornali principali, la televisione. Non parliamo di polizia ed esercito dove il carabiniere veneto di Pane Amore e Fantasia è uno strano ricordo.

Questa situazione non avrebbe potuto realizzarsi senza l’appoggio dato al meridionalismo dal partito comunista che aveva abbandonato definitivamente, con le dimissioni di Longo e l’avvento di Berlinguer, il ruolo di antagonista rispetto al capitalismo e al potere industriale del nord. Un nord dove tuttavia mai era riuscito davvero a sfondare. Dopo il malinconico e in alcuni casi sanguinoso abbandono dell’antagonismo proletario, il PCI poi PD divenne di fatto l’espressione più organica e con forte presunzione egemonica di una particolare situazione territoriale, l’italia centrale.

Abbandonata ogni velleità anticapitalistica dopo il terrorismo il PCI ha così di fatto costituito l’anima nobile dell’alleanza centro sudista ed abilissimamente è giunto, scavalcando un fallimento non dichiarato, ai massimi vertici del potere.

Ma la realtà Italiana, costituita da tre entità distinte e facilmente distinguibili per chi vuole vedere, non permette una gestione del potere da cui il nord sia escluso.

Il Governo Salvini Conte è stato una conseguenza, imprevista per molti, di questa verità. Il sud e il nord si unirono con percorsi sorprendenti ma potenti isolando di fatto il PD e l’Italia centrale dopo la fine di Renzi che del PD era stato il grande demolitore.

L’incomprensibile uscita di Salvini da quel governo, motivata dal fatto che “non riusciva più a tenere i suoi” ha dimostrato che in fondo l’Italia centrale è l’ago della bilancia dello stato politico istituzionale italiano.

Troppo potente il patrimonio culturale storico e sociale di quell’area, l’ex stato pontificio dove la chiesa, ma non solo, ha i principali sacrari. In quell’area si colloca anche la Toscana, anch’essa con la sua storia e le sue glorie passate. Stranamente, ma non per me, proprio quell’area ha costituito per 50 anni la terra di assoluta predominanza del partito comunista. O meglio, di quella fazione del partito che non aveva nell’antagonismo proletario la propria bandiera bensì nella teoria e nella prassi buon governo unito al rifiuto sia della socialdemocrazia che del liberismo capitalistico.

E così nel caos attuale tutto sembra possibile e impossibile allo stesso tempo. Ma le tre Italie continuano ad esistere ed il meridionalismo, giunto alla sua fase suprema sembra morente. In lizza per le future alleanze di governo rimangono solo il nord e il centro.

Calenda, Renzi, Meloni sono il centro Italia che cerca vie nuove, il nord ha la sua rappresentanza prevalente nella lega ma con dinamiche in movimento, vedi Toti, Zaia, Berlusconi, Bernardelli e perfino Bonaccini. Il Piemonte con il suo “travaglio” prova ad andare contro corrente mantenendo un’alleanza col sud che, pur avendo le sue basi storiche nello sviluppo torinese-siciliano della Fiat e nelle aziende di Olivetti- De Benedetti, sembra più un tentativo di sopravvivenza.

Personalmente da tempo preferisco pensare ad una alleanza strategica nord-centro, non soffocante per il sud ma decisa ad uscire da tutte le aberrazioni degli ultimi 40 anni e capace quindi di ricostruire uno stato che lavori per il bene di tutta la società e non per il benessere degli statali.

Ho anche qualche idea su come procedere, cominciando dalla scuola che da sola occupa un dipendente statale su tre. Ma il discorso vale anche per tutti i ministeri, il loro personale, le procedure di selezione e di provenienza territoriale del personale stesso.

C’è chi vuole fare davvero queste cose? Senza di esse anche i programmi di governo sono destinati al fallimento, qualunque sia il loro più o meno nobile obiettivo dichiarato.

Sergio Bianchini, già dirigente scolastico e collaboratore la nuova padania

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