Speciale 5 Giornate – La Lombardia non è la casa delle libertà

19 Marzo 2021
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di Franco Masoni * – Nel 1834 Cattaneo pubblica e appoggia, negli Annali, il fransciniano Appello per una generale sottoscrizione a favore delle scuole pubbliche del Cantone Ticino: segue le involuzioni che minacciano le conquiste della riforma del 1830 e muovono la rivoluzione liberale del 1839, che non sarà l’ultima. Certo il Franscini scopre al Cattaneo le radici profonde dell’amore di libertà dei Ticinesi: le antiche tradizioni vallerane (forma che l’italiano regionale del Ticino preferisce all’italico “valligiano”) e montanare; l’abitudine, in tre secoli di duro protettorato dei Cantoni sovrani, alla disciplina e all’autodisciplina nel reggere le autonomie statutarie locali; il fiero distacco mostrato dai Protestanti locarnesi alla partenza per l’esilio; gli spazi di libertà spirituale aperti dalla presenza a Lugano d’una Scuola dei Padri Somaschi e più ancora d’una stamperia degli Agnelli milanesi, fucina di pubblicazioni antigesuitiche, poi filogianseniste, filoenciclopediche e democratiche non ammesse o gradite a Milano. Donde il fiorire a Lugano, sul finire del Settecento, secondo cronache del tempo, di ben cinque Club, non estranei, nel febbraio del 1798 (…) al proclama dei Luganesi di volere essere “liberi e svizzeri”.

Libertà che qualche Cantone sovrano saluta e si attua, il mese successivo, nella Repubblica Elvetica, imposta dagli invasori Francesi. Avversata per il suo centralismo nella Svizzera Centrale, trova divisi i Luganesi: favorevoli alcuni Club; fortemente contrari i reazionari e i campagnoli che, l’anno successivo, all’avvicinarsi dell’armata austrorussa del generale Suvarov, invadono a turbe la città, mettono a sacco la stamperia, cui fan colpa del contagio rivoluzionario, uccidono l’abate G. B. Vanelli che la dirigeva e due rappresentanti delle nuove autorità repubblicane. Ma le idee rimangono: nel 1815, un pronunciamento, vera rivoluzione liberale, rifiuta l’illiberale costituzione imposta; l’intervento federale reprime il moto, non l’amore di libertà che continua a infiammare Giuseppe Vanelli, il suo giornale, la sua stamperia, poi il Ruggia, i Radicali, il Franscini, la Riforma del 1830. Questi fatti, ben noti al Cattaneo per le amicizie, le relazioni e il flusso d’ininterrotte informazioni, tornano certo alla mente del Cattaneo, intrecciandosi con ira e delusione per il naufragare dell’epopea delle Cinque Giornate nell’ingloriosa riconsegna di Milano da Carlo Alberto agli Austriaci, mentre accompagna a Lugano la moglie malata e corre a Parigi, ove cerca – forte d’autorevoli credenziali e d’una rovente analisi delle Cinque Giornate, chiara in mente ma faticosa da stendere – di guadagnare i Francesi all’idea d’un intervento militare in Lombardia.

Lugano poteva apparire perciò la sua meta naturale, dopo quella missione, per stabilirvisi. Ma le sue molte lettere alla moglie da Parigi proclamano la volontà di proseguire per l’Inghilterra (…). La Francia non è però matura per un intervento: la missione parigina di Cattaneo cade nel vuoto. Il 30 ottobre 1848 torna a Lugano: vi rimarrà, esule a vita. Come mai, dopo quei ripetuti dinieghi? Pur in uomo
di carattere (testardo, diceva la moglie; timido e orgoglioso, scriverà Romeo Manzoni) il cambiar parere non dovrebbe stupire in
quei tempi volubili: in cinque decenni, più volte s’altera il quadro europeo, francese e lombardo, mutevoli anche le scelte di Cattaneo, dal seminario allo studio laico, dal rifiuto d’ogni parteggiare e d’ogni coinvolgimento in congiure e moti al “diavolezzo” (come lo chiamerà) delle Cinque Giornate, dal rifiuto della politica all’esserne investito e risucchiato (…).

In Svizzera, i Radicali avevano appena debellato il Sonderbund, lega separatista dei Cantoni cattolici e ottenuto, con paziente opera di mediazione tra il loro centralismo e il federalismo dei Conservatori, una nuova Costituzione. Dall’antica Lega di liberi Cantoni sorgeva lo Stato federativo: garantiti nella Carta Costituzionale diritti politici e libertà individuali; comuni l’esercito, la politica di sicurezza, il Governo: ora un Governo vero, il Consiglio Federale (non più un’impotente Commissione di dignitari dei Cantoni com’era la Dieta), la cui elezione era prevista per il 16 novembre e includeva il Franscini. Che doveva perciò lasciare il Ticino per Berna (…) e poi soprattutto
con un gran senso di colpa nel lasciare il Ticino, nel venir meno alla promessa e all’immane compito di farne uno Stato moderno, alla funzione di primo attore e generale ispiratore – storico, filosofo, politico, scienziato, economista, statistico – del Radicalismo ticinese. A chi affidarla? La risposta pare evidente.

Certo è che Cattaneo (ospite temporaneo in casa Franscini) rivide a Lugano l’amico prima della prevista elezione e solo il 16 dicembre successivo si decise a chiedere il permesso di dimora nella Casa Morosini in Via Pretorio a Lugano (…). Con l’intuito e la visione profetica dello storico poteva egli non aver inteso il disagio dell’amico, poteva non sentire rivolgerglisi contro l’incitamento con cui, da Milano, l’aveva spinto a tornare in Patria (…)?

Non che il Cattaneo potesse dispiacere ai Radicali svizzeri di allora, ancorché meno focosi di quelli ticinesi. Ai Giacobini preferiva l’Illuminismo prerivoluzionario, «mirabile […] fermento che [nel Settecento] si vedeva nelle nazioni», e aggiungeva: «È un fatto ignoto all’Europa, ma è pur vero: mentre la Francia s’inebbriava indarno dei nuovi pensieri, e annunciava all’Europa un’era nuova, che poi non riusciva a compiere se non attraverso al più sanguinoso sovvertimento, l’umile Milano cominciava un quarto stadio di
progresso, confidata a un consesso di magistrati, ch’erano al tempo stesso una scuola di pensatori: Pompeo Neri, Rinaldo Carli, Cesare
Beccaria, Pietro Verri non sono nomi egualmente noti all’Europa, ma tutti egualmente sacri nella memoria dei cittadini». Non ci pare quindi lontana dal vero l’ipotesi che a convincere il Cattaneo a rimanere vi sia proprio anche la missione che dalle spalle del cabilmente da Franscini. Per lui Cattaneo elabora il concetto dell’Università federale e il primo sfortunato messaggio per la federazione e il coordinamento didattico delle università esistenti; idee comuni a entrambi, fortemente anticipatrici, perseguite con fondamento
e metodo scientifici e aperture interdisciplinari (…). Come Franscini, anche Cattaneo perora, a lunga scadenza, l’Accademia ticinese: nel Ticino, ha incarichi dai Consiglieri di Stato, dalla Scuola, dai responsabili dell’amministrazione nel Cantone e nelle Città, da insegnanti, Presidenti di Mutue, politici.

(2-segue)

* Avvocato, già  presidente del Comitato
italosvizzero per la pubblicazione
delle opere di Carlo Cattaneo, presidente
dell’Associazione Carlo Cattaneo di Lugano

(da “Il Federalismo”, direttore responsabile Stefania Piazzo)

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