Scuole infanzia si svuotano e chiudono. Interessa alla politica che pensa solo a “bene del Paese”?

8 Febbraio 2021
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 Le scuole dell’Infanzia si svuotano e chiudono: troppe le famiglie che rinunciano. A lanciare l’allarme di Tuttoscuola che, su dati del Ministero dell’Istruzione evidenzia come rispetto a 8 anni fa persi 155 mila alunni (-15%). Chiuse 1.300 scuole paritarie e statali. Non è solo una conseguenza del minor tasso di natalità. Il tasso di scolarizzazione dei bambini di 4-5 anni si è ridotto dal 99,8% (il più alto in Europa) al 94,9% (sotto al target fissato dall’UE). I più colpiti sono stati piccoli territori, privati del servizio, costringendo numerose famiglie a cercare l’iscrizione in scuole lontane (scuolabus permettendo) o a rinunciare del tutto al servizio.

Molte scuole soppresse si trovavano nelle Regioni del Mezzogiorno e, in particolare, in piccoli paesi calabresi (53 scuole) e campani (45). Il fenomeno è tanto più preoccupante in quanto è in questa fascia d’età che si formano alcune delle competenze cognitive, emotive e comportamentali che incidono sul successo futuro negli studi superiori e nel lavoro. Un’altra priorità in una strategia di investimento nel capitale umano come quella prefigurata dal Piano Next Generation EU. La scuola dell’Infanzia, denuncia Tuttoscuola, si sta restringendo drasticamente sotto i nostri occhi: gli iscritti continuano a calare, le piccole scuole (private ma anche statali) a chiudere. Ma aumentano anche le famiglie che non riescono ad avvalersi di un servizio fondamentale, mentre lo spettro della povertà educativa avanza. E non è solo un problema di calo demografico.

 La contrazione del numero di alunni, di classi e di scuole è verticale rispetto al picco raggiunto nell’anno scolastico 2013-14, quando nella scuola dell’infanzia statale erano iscritti 1.030.367 bambini. Tre anni dopo si era scesi a 978 mila, nel 2018-19 a 918 mila e nell’anno in corso a 875 mila alunni: -15% rispetto al 2013-14, come emerge dall’elaborazione dei dati del Ministero dell’istruzione curata da Tuttoscuola. La crisi quantitativa di quello che è un fiore all’occhiello della scuola italiana si è tradotta in un minor numero di classi (e quindi anche di docenti): -1.576 classi (-4%) rispetto all’anno 2013/14. Ma ha travolto anche le scuole: negli ultimi anni hanno chiuso moltissime scuole. In particolare dall’a.s. 2013-14 a oggi il numero di scuole dell’infanzia paritarie è sceso di circa 1.000 – un dato drammatico – ma anche il numero di scuole statali dell’infanzia si è ridotto di 250. In particolare sono state chiuse ben 300 scuole statali dell’infanzia (per lo più monosezioni), mentre altre sono state costituite prevalentemente per fare fronte alla chiusura massiccia di scuole paritarie. I più colpiti sono stati molti piccoli territori, privati completamente del servizio, costringendo numerose famiglie a cercare l’iscrizione in scuole lontane (scuolabus permettendo) o a rinunciare del tutto al servizio.Qualche esempio di Comuni rimasti senza scuola dell’infanzia? Bocchigliero (provincia di Cosenza), Zeme (Pavia), Tiana (Nuoro), Bompensiere (Caltannissetta) e molti altri. 

Si spiega tutto con il minor tasso di natalità? No. Lo dimostra il tasso di scolarizzazione dei bambini italiani di età 4-5 anni: nel 2009 era pari al 99,8%, il più alto in Europa, poi è andato diminuendo di anno in anno per toccare nel 2019 il 94,9%, andando addirittura sotto l’obiettivo del 95% fissato a Lisbona dall’Unione europea. Insomma non diminuisce soltanto il numero assoluto di iscritti (-155 mila in otto anni) ma anche, fatto 100 il numero di bambini in età, il numero relativo. Prima nessuno rinunciava a questo importante servizio, ora un 5% delle famiglie non riesce o non vuole avvalersene. Si alza lo spettro della povertà educativa sulle fasce più deboli della popolazione. Scomponendo i dati, si può stimare che il crollo di -155 mila alunni rispetto a otto anni fa sia ascrivibile per circa -110 mila al calo demografico e per circa -45 mila ad altri fattori. Evidentemente incidono: fattori economici, sociali e di insufficiente elasticità dell’offerta statale e comunale rispetto al declino delle scuole non statali (che ancora oggi accolgono circa il 36% degli alunni). Una decina di anni fa il servizio sembrava essere arrivato al top, almeno sotto l’aspetto quantitativo: scolarizzazione quasi al 100% dei nati in età, incremento della frequenza per l’intera giornata, record di bambini iscritti. 

Education and training nel riportare gli obiettivi di Lisbona per i Paesi dell’Unione Europea indicava nel 2009 un tasso di scolarizzazione dei bambini italiani di età 4-5 anni del 99,8%. La percentuale di scolarizzazione però è andata diminuendo di anno in anno per toccare nel 2019 il 94,9%, sotto l’obiettivo del 95% fissato dall’Unione. Nel 2009-10 la percentuale di bambini che partecipavano alle attività educative e didattiche della scuola per l’intera giornata era del 90,4%, poi era andato invece crescendo il numero di bambini che si avvalevano soltanto di mezzo servizio senza nemmeno fruire della refezione e, conseguentemente, la percentuale di frequenza per l’intera giornata nel 2019-20 è scesa all’89,5%. Quali le cause di questa che sembra essere una disaffezione dal servizio? Una (non certamente l’unica) può derivare proprio dalla crisi economica che ha colpito soprattutto le famiglie meno abbienti (e spesso con situazione economico-sociale critica) in difficoltà per pagare le rette di frequenza e di mensa. Una difficoltà spesso rilevata soprattutto tra le famiglie straniere.

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