Quando lo Stato girò le spalle ai 200 anni di tricolore. Festa “forzata”?

7 Gennaio 2021
Lettura 4 min

di Stefania Piazzo – Incredibile ma vero. Il Parlamento approva nel 1996 la legge per celebrare la ricorrenza della nascita del tricolore. E’ la n. 671 del 31 dicembre 1996. Sul filo del rasoio. Suono di trombe, rullo di tamburi, viene istituito anche un Comitato (oggi lo chiamerebbero task force) per dar degno inizio alle danze. Ma le iniziative per il bicentenario (7 gennaio 1797- 7 gennaio 1997) non partono.

Come, tanto rumore per nulla? Allora, come accade quando i comitati vivono sulla carta, quasi un anno dopo arriva un disegno di legge d’iniziativa dei senatori Agostini, D’Alessandro, Prisco, Maggiore, Fumagalli Carulli, Monticone, Cirami, Folloni, Rescaglio, Greco, Mundi, Cusimano, Pellicini, Bruni e Russo Spena, inviato alla Presidenza del Senato il 23 settembre 1997, dal titolo, indovinate un po’, “Proroga delle disposizioni della legge 31 dicembre 1996, n. 671, relativa alla celebrazione nazionale del bicentenario della prima bandiera nazionale”. Immaginiamo fosse stata la seconda!

Massì, un Paese che vive reiterato e prorogato, mette in archivio anche l’atto Senato n. 2773.

Il testo è breve, rileggiamolo.
Onorevoli senatori, con la legge 31 dicembre 1996, n. 671, il Parlamento ha stabilito che il 7 gennaio di ogni anno sia celebrata la giornata della bandiera ed ha istituito un Comitato nazionale con il compito di preparare ed organizzare, d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri, tutte le manifestazioni celebrative e le iniziative storico-culturali connesse con il
bicentenario del Tricolore, stanziando all’uopo la somma di lire 5 miliardi.


Purtroppo, le complesse procedure per l’insediamento del Comitato nazionale hanno impedito che lo stesso iniziasse con la dovuta tempestività il proprio lavoro di istruttoria delle varie iniziative proposte da enti ed istituti culturali.


Di conseguenza, vi è il concreto rischio di non poter realizzare, se non in minima parte, il programma celebrativo entro il 31 dicembre 1997, vanificando in tal modo l’efficacia della legge n. 671 del 1996 ed
impedendo, proprio in un momento particolare come quello che l’Italia sta attraversando, di dare la dovuta solennità al bicentenario del Tricolore, simbolo dell’unità nazionale.


Con il presente disegno di legge si intende, pertanto, prorogare sino al 31 dicembre 1998 sia l’attività del Comitato nazionale, sia la disponibilità dello stanziamento di bilancio previsto dalla citata legge n. 671 del 1996
“.

Complesse procedure… istruttoria…. stanziamento di bilancio… Un irripetibile scorcio di Made in Italy.

D’altra parte questo è il Paese che celebra lo Stato e toglie i santi dal calendario delle festività. E che si soffoca nelle proprie istruttorie.

Un po’ come il cugino 2 giugno, che per anni non venne celebrato. Era finito tra le festività soppresse assieme a diverse altre.

Fu il presidente Ciampi a reintrodurla, dopo che era stata trasformata in festa mobile nel 1977, legata alla prima domenica di giugno e soppressa assieme ad altre festività religiose. Siamo laici, suvvia.

Che la parata tricolore sia stata una festa discussa lo dice il fatto che sulle sue alterne vicende fu scritto anche un libro (precisamente un saggio di Virgilio Ilari, «La parata del 2 giugno», in Il teatro del potere, a cura di S. Bertelli, Carocci editore) dedicato alla sfilata militare.

Infatti, dal 1950 e per 25 anni si trattò di una parata militare, per iniziativa del repubblicano Pacciardi, ministro della Difesa. Armiamoci e partite.

Ma il disinteresse verso la solenne cerimonia era così poco attecchita nella coscienza dei cittadini, che tanto valeva farne a meno e collocarla come la festa della mamma, la prima domenica che capitava del mese.

Poi, anche le sinistre non caldeggiavano per questa prova di muscoli, camionette e moschetti. Insomma, nessuno ne sentì alla fine la mancanza. E nel 1977 la festa nazionale venne abolita. Anzi, l’ultima edizione nel 1977 vide lo smantellamento in fretta e furia ai Fori Imperiali delle impalcature, per il timore che l’eversione rossa potesse guastare la festa.

Negli anni ‘ 80 fu  Craxi a ripristinare la parata, ma le contestazioni non mancarono e quindi venne fissata una cadenza  quadriennale all’evento, per salvare capra e cavoli. Ma, raccontano le cronache, ancora  nel 1992, accadde che le tribune in via dei Fori Imperiali venissero ancora una volta montate e di corsa smantellate. Suggerimento, dicono, di Scalfaro al ministro della Difesa. Non era opportuno. Era l’anno di Tangentopoli e del boom leghista. Non c’era molto da festeggiare per Roma. Lo Stato doveva solo che nascondersi. Si dovette arrivare a Ciampi per rivedere nel 2000 sfilare le forze armate e ricelebrare la Repubblica. E nel 2001 una legge ne sancì l’inviolabilità nazionale.

Da festa soppressa, come il Corpus Domini o San Giuseppe il 19 marzo, la festa della Repubblica celebra così lo Stato, le sue formalità, la sua struttura.

Immutata e immutabile, centralista. Festeggiamo i ministeri, gli apparati che reggono la Repubblica, fondata sui partiti e su un parlamento privo di sovranità. Da parata dell’esercito a parata del sistema. Così forte e importante da celebrare prima se stesso che i santi. Dimenticandosi a volte di finire di nominare, come per il tricolore nel 1996, i commissari della commissione. Basta una leggina e tutto poi torna a sventolare.

Oppure un cambio radicale di linea politica. Il caso della Lega di Salvini è esemplare.

Il 31 maggio del 2016, l’allora segretario ai microfoni de La Zanzara su Radio 24 affermava: “Non capisco cosa c’è da festeggiare. È una festa della Repubblica invasa e disoccupata. Con 4 milioni di italiani disoccupati ed un milione e mezzo di bimbi sotto la soglia della povertà, cosa c’è da festeggiare? Sarebbe da abolire (…). Il 2 giugno c’è poco da fare parate e sventolii. Io eviterei un giorno di festa, risparmierei i quattrini, è una presa in giro, ipocrisia. Qualcuno dice che non c’è un’invasione? Cosa volete che siano 13 mila persone arrivate in una settimana…”.

Usando i social, sui twetter romanticamente affermava il 2 giugno 2013: “Notte serena amici, non c’è un c… da festeggiare”.

Ma non solo.

Il 2 giugno 2017, Salvini segretario dell’allora ancora Lega Nord, non fece celebrare la festa della Repubblica ai suoi sindaci. Per protesta contro i prefetti e la politica dell’immigrazione.

Si legge sulla stampa di due anni fa….

“Oggi scriverò ai 300 sindaci della Lega ed ai 3000 amministratori perché il 2 giugno si tengano lontani da qualsiasi celebrazione. Non c’è nulla da festeggiare con prefetti che stanno riempiendo l’Italia di immigrati. I nostri amministratori si tengano lontano da qualsiasi ipocrisia. Noi non facciamo le comparse, in questo Paese c’è davvero poco da festeggiare”.

L’appello del leader leghista è stato colto al volo anche in provincia di Varese, dove già a Saronno c’è stata una presa di posizione contraria alle celebrazioni. Il segretario provinciale e sindaco di Morazzone Matteo Bianchi spiega: «I sindaci della Lega non festeggeranno il 2 giugno, non per sterile propaganda elettorale ma per convinzione dopo che i continui tagli ai comuni rendono sempre più difficile garantire i servizi minimi ai cittadini».

E Giuseppe Longhin, responsabile provinciale Enti Locali e capogruppo in Provincia a Varese, aggiunge: «C’è poco da festeggiare. Le priorità di questa Repubblica non sono più quelle che chiedono i cittadini. Indossare il tricolore il 2 giugno sarebbe come dare 2 metri in più di guinzaglio al proprio cane, oggi sapendo che domani glielo si accorcerà di 3. I sindaci e gli amministratori leghisti il 2 giugno penseranno, come tutti gli altri giorni dell’anno, a come tutelare i propri cittadini dal depredamento governativo».
(da https://www.varesenews.it/2017/06/la-lega-nord-dice-no-alle-celebrazioni-per-la-festa-della-repubblica/626058/)

Il resto lo conosciamo.

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