Psicovirus, il peggior rischio italiano

15 Aprile 2020
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di Riccardo Rocchesso – Non sono stati mesi facili, ci siamo ritrovati da un giorno all’altro a dover rinunciare al nostro lavoro, alla nostra libertà personale, alla nostra salute. 

Lo Stato si è dimostrato per molti versi incapace di gestire la situazione e le persone si sono sentite abbandonate a sé stesse, senza prospettive per il futuro, con la minaccia di una malattia che ancora non è chiara e fa paura anche per questo, e con la certezza che quando si potrà finalmente ricominciare forse non basterà solo rimboccarsi le maniche. 

E questo cosa comporta nella psiche della gente? 

All’inizio dell’epidemia, tanti cittadini hanno partecipato ad atti di solidarietà collettiva per farsi forza, come l’esposizione di bandiere “andrà tutto bene” e canti di inni nazionali dai balconi. Ma ora? 

I tempi si allungano, la luce in fondo al tunnel è sempre più lontana, e le persone si sentono sempre più sole. 

Sempre più spesso si colgono segnali di mancanza di empatia e nervosismo, come la vigilanza spasmodica del vicinato oppure l’assoluta mancanza di solidarietà nei confronti dei più bisognosi; recente il caso di una signora anziana caduta e che in molti hanno lasciato per terra schivandola con la macchina. 

E l’isolamento quanto conta? 

Secondo Julianne Holt- Lunstad,  una ricercatrice della Brigham Young University, in uno studio  del 2010 su quanto le relazioni sociali influenzino il rischio di mortalità, le persone con relazioni sociali forti hanno una probabilità di sopravvivenza aumentata del 50% rispetto a quelle con relazioni sociali più deboli. 

Questi risultati indicano che l’influenza delle relazioni sociali sul rischio di morte è paragonabile a fattori di rischio ben consolidati per la mortalità come il fumo e il consumo di alcol e supera l’influenza di altri fattori come l’inattività fisica e l’obesità. 

E che dire quindi oggi che le nostre relazioni sociali, sebbene forti in molti casi, vengono distrutte dallo stato? 
Oggi che ci chiedono di mantenere le distanze fisiche, facendo inevitabilmente modo di creare dei muri psicologici nei confronti degli altri? 
Che cosa ne sarà di noi quando tutto questo finirà e potremo tornare ad abbracciare le persone a cui vogliamo bene? 

L’augurio è quello che questa esperienza ci ricordi anche l’importanza che hanno le altre persone nella nostra vita,  aiutandoci magari a ricostruire un mondo un po’ più solidale e un po’ meno egoista. 

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