Perché tagliare la stampa in prima linea in piena emergenza coronavirus? Il caso Cairo

9 Aprile 2020
Lettura 2 min

Non basta creare una task force ministeriale contro le fake news se poi si tagliano le gambe a chi fa giornalismo sul serio.

Il ruolo della stampa oggi è vitale. Non ci sarebbe democrazia né giustizia oggi al tempo del Covid 19 senza il giornalismo investigativo, di approfondimento. Il sistema che nasconde le proprie negligenze, le proprie incapacità, andrebbe avanti indisturbato a trafficare sulla vita e sulla morte come nulla fosse accaduto.

Non ci sono solo medici e infermieri in prima linea, non solo le forze dell’ordine, non solo chi tiene aperti i negozi e sfida la malattia. Ci sono anche i giornalisti. Ora leggete l’intervento che Fabio Cavalera, giornalista, presidente della Scuola di giornalismo Walter Tobagi, e consigliere dell’Ordine lombardo dei giornalisti, ha postato sul proprio profilo facebook.

Buona lettura.

#coronavirus e ricadute editoriali
Lasciamo perdere i video di controverso gusto e sensibilità che ha postato nei giorni scorsi su Instragram. Tempistica e contenuti non sono sembrati i più felici. Ma concentriamoci sul presente.
Urbano Cairo (Rcs, la 7, testate del gruppo Cairo) stacca un dividendo di 15 milioni di euro per gli azionisti e mette in tasca emolumenti per 2,7 milioni.
Ottimo, verrebbe da dire, ciò significa che le sue aziende funzionano e se funzionano è un bene per tutti, dal capo in testa all’ultimo della catena produttiva. Peccato che il presidente e amministratore delegato di Rcs con una mano incameri discrete ricompense per sé e i suoi soci ma con l’altra voglia firmare in fretta lo stato di crisi che comporta l’espulsione (formalmente volontaria) di un centinaio di giornalisti (fra Corriere, Gazzetta e periodici) e di 200 fra grafici e poligrafici, restando poco chiaro il destino dei precari.


C’è qualcosa che non quadra in questo contraddittorio comportamento, assai poco accettabile in tempo di emergenza sanitaria, economica e occupazionale.
Urbano Cairo tiene molto alla sua immagine, del resto è “figlio” di Silvio Berlusconi. Si è costruito la fama di editore capace e illuminato. E sapersi vendere bene è una virtù.


Non so se questa fama sia meritata o meno, specie se il giudizio deve dipendere dalla valutazione delle strategie editoriali di lungo periodo visto che di idee nuove e solide per ora non se ne vedono. Di sicuro però Urbano Cairo è abile nel tagliare i costi e nel governare i bilanci restringendo il perimetro degli investimenti sulle risorse umane.
Ebbene, senza tirarla in lungo, la domanda più che spontanea è semplice: è corretto che nel pieno dell’emergenza coronavirus un imprenditore stacchi cedole per 15 milioni e contemporaneamente manifesti l’intenzione di sfoltire i ranghi dei suoi dipendenti scaricando sullo Stato e sull’Inpgi il costo dello stato di crisi?


Da un punto di vista etico questa politica aziendale è difficile da digerire perché dimostra scarsa considerazione del ruolo essenziale che i mass media, i giornalisti, i grafici e i poligrafici svolgono o possono svolgere nell’interesse della comunità, specie oggi. Un ruolo sociale che non è solo creare profitti ma in primo luogo informare e informare bene. Per gli editori italiani le donne e gli uomini che fanno i giornali sono numeri, numeri da sottrarre sempre. E Cairo non fa eccezione.


Da un punto di vista politico-sindacale non è una scelta lungimirante perché indebolisce proprio il bene a cui Cairo tiene di più: l’immagine. Può essere (è sicuro) che porti a casa l’accordo con il sindacato sull’ennesimo stato di crisi con costi scaricati sullo Stato e sull’Inpgi ma ciò non toglie che la sua credibilità di “editore creativo” alla fine si dimostrerà per quello che è: falsa. Semmai si confermerà che è un illusionista.
(Fabio Cavalera)

Leggi anche: https://www.senzabavaglio.info/2020/04/09/lettera-aperta-a-urbano-cairo-faccia-un-gesto-di-responsabilita-rinunci-al-dividendo/?fbclid=IwAR2Jjdw6XOvqWcz1vzzvM-EY1oJ5pDW1oQMlZVfH80DTY6djV_ebWibtK7A

Photo by Luca Onniboni

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