Ma gli “autonomisti” esultanti per il No al ddl Zan, gongoleranno allo stesso modo quando sarà ratificata dopo 50 anni la tutela delle lingue minoritarie?

11 Novembre 2021
Lettura 3 min

di Roberto Pisani – ISO 639-3 LMO. Ai più potrebbe sembrare una sigla sconosciuta, oppure un codice secretato dalla Nasa per definire chissà quale astronave aliena. Così come ISO 693-3 VEC e ISO 693-3 PMS. E invece no. Sono semplicemente i codici assegnati dall’UNESCO alle lingue territoriali rispettivamente di Lombardia, Veneto e Piemonte. Ebbene si: l’UNESCO, da sempre fortemente impegnata nella promozione e nella tutela del multilinguismo e dell’inclusione, “sostiene l’inserimento delle lingue indigene nell’istruzione formale e il ritorno alle comunità d’origine, la salvaguardia del patrimonio culturale e la sua trasmissione tra generazioni, la promozione di politiche educative maggiormente inclusive e di pratiche che integrano il multilinguismo”.

Ma per fare il punto della situazione in Italia bisogna, gioco forza, fare un passo indietro, anzi direi un balzo indietro visto che di anni ne sono passati molti, direi troppi. Risale infatti agli inizi degli anni ’70 la nomina di un “comitato di tre saggi” a cui fu delegato dal Parlamento il riconoscimento delle comunità costituenti minoranze linguistiche. I designati furono Tullio De Mauro, Giovan Battista Pellegrini e Alessandro Pizzorusso, accademici linguistici i primi due, giurilinguista il terzo.

Essi sottoscrissero una relazione individuando tredici minoranze linguistiche, corrispondenti alle dodici attualmente riconosciute, con l’aggiunta di Sinti e Rom. L’art. 2 della legge 482/99, approvata dal governo D’Alema dopo quasi trent’anni di nulla assoluto, riconobbe appunto dodici minoranze linguistiche “storiche”, ammettendone la tutela.

I dodici gruppi linguistici sono: albanesi, catalani, croati, francesi, francoprovenzali, friulani, germanici, greci, ladini, occitani, sardi e sloveni, escludendo quindi le popolazioni nomadi che non presentano il requisito della territorialità.

Va ricordato che l’articolo 6 della Costituzione Italiana cita testualmente: “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”. Non che io sia un grande fan della Carta però va detto che finché questa rimarrà in vigore e non verrà modificata va applicata.

Bisogna inoltre specificare che nel 1992 a Strasburgo viene redatta la Convenzione sulle lingue minoritarie che entra in vigore l’1 marzo 1998 e che l’Italia decide di firmare solo nel 2000. 

E qua viene il bello! Abbiamo detto che siamo partiti negli anni ’70 con la relazione dei tre saggi, tutto fermo fino al 1999 con l’entrata in vigore della legge 482/99, per finire nel 2000 con la firma della convenzione, peccato che non sia mai stata ratificata dal Parlamento italiano.

A novembre 2020, quindi oltre un anno fa, i senatori Laura Gravini e Gianclaudio Bressa, hanno redatto un disegno di legge di ratifica della convenzione che però, al momento, risulta ancora in stallo nei meandri del circo parlamentare romano. 

L’Italia è al momento uno degli stati che non hanno ancora ratificato l’accordo, assieme all’Azerbaijan, alla Macedonia del Nord, alla Francia, a Malta, alla Moldova e alla Russia.

Ma esattamente quali sono le azioni che gli stati firmatari devono o possono attuare?

“Gli Stati che hanno firmato e ratificato la Carta si impegnano a:

Riconoscere le lingue regionali o minoritarie come espressione della ricchezza culturale;

Rispettare la zona geografica dove una lingua regionale o minoritaria è radicata;

Adottare azioni efficaci per promuovere queste lingue;

Facilitarne e incoraggiarne l’uso, scritto e parlato, nella vita pubblica e privata;

Mettere a disposizione forme e mezzi adeguati di educazione a tutti i livelli appropriati;Promuovere gli scambi transfrontalieri;

Proibire ogni distinzione, discriminazione, esclusione, restrizione o preferenza relative alla pratica di una lingua minoritaria o ogni atto destinato a scoraggiare o mettere in pericolo il mantenimento o lo sviluppo di essa;

Promuovere la comprensione reciproca tra tutti i gruppi linguistici di un Paese.

La Carta fornisce un elenco di azioni che gli Stati firmatari possono adottare per proteggere e promuovere le lingue storiche regionali e delle minoranze, come ad esempio l’uso di segnaletica bilingue o l’apertura di scuole specializzate nell’insegnamento della lingua protetta”.

Bene, anzi male. Cosa augurarsi a questo punto? La prima cosa è che il lavoro, seppur autorevole, dei tre saggi venga rivisto anche alla luce della presa di posizione a tutela delle lingue minoritarie intrapresa dall’UNESCO con l’unificazione citata all’inizio. Inoltre che finalmente questo iter parlamentare durato oltre 50 anni e non ancora concluso arrivi alla sua piena realizzazione.

Come terza cosa ci si auspica che questo stato, sempre più centralista, adotti tutte quelle misure sopra citate per tutelare il patrimonio linguistico e culturale del Paese. Dulcis in fundo ci aspettiamo che una volta arrivati a conclusione di questa telenovela durata oltre 50 anni i nostri rappresentanti, specie quelli che in passato si sono fatti eleggere promettendo autonomia e decentramento territoriale, ripetano le stesse esultanze mostrate in occasione della mancata approvazione del ddl Zan. Se non altro per la lunga attesa a cui ci hanno sottoposto. Benvenuti al circo.

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Direttrice: Stefania Piazzo
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