di Roberto Gremmo – Anche quest’anno è giusto ricordare una pagina importante della storia più vera dei nostri popoli: la sfortunata rivolta montanara valdostana del 1853. L’ultima battaglia popolare prima delle infauste avventure militariste del risorgimento.
E’ un episodio che trae origine da quando, giunto al governo del Piemonte Camillo Cavour impose una politica ultra liberista, favorendo l’importazione di grano dall’estero e l’aumento dei costi di macinazione dei cereali, alzando il prezzo delle merci, e soprattutto del pane. Forti proteste popolari si svilupparono spontaneamente a Genova, Stradella, Bra, Arona e Barge mentre centinaia di torinesi scontenti manifestarono vivacemente anche sotto la casa del capo del Governo, dove esplose anche un ordigno.
Nei giorni seguenti, durante un processo, risultò che la scelta antiproibizionista di Cavour non era casuale, perché, come azionista di un mulino, in palese conflitto d’interesse, il capo del governo aveva imposto una legge che lo favoriva direttamente.
Mentre cresceva la protesta, in Valle D’Aosta partendo dal piccolo borgo montano di Champorcher, centinaia di montanari, spinti dalla fame, dall’esosità delle nuove tasse e dal timore che i cambiamenti imposti dal governo provocassero sconquassi nella morale, si ribellarono, rinnovando le glorie delle insorgenze antifrancesi del 1799 e del 1800.
La rivolta doveva passare alla nostra storia come quella del “reggimento degli zoccoli”. Un’armata di poveri popolani, armati alla bell’e meglio di falci, bastoni, zappe e fucilacci sgangherati, il giorno di Natale, incurante della neve e del gelo, scendeva dalla montagna, ribellandosi contro Cavour, il liberismo, le tasse e la politica antireligiosa.
Per tre giorni, centinaia di “Socques” occuparono la val d’Aosta, misero a sacco le botteghe e i magazzini, spaventarono i buoni borghesi e bruciarono le bandiere tricolori, inneggiando al “buon tempo antico”.
Fermati con l’inganno, rinchiusi a centinaia in prigione, dopo più di un anno di carcere, processati a Torino, vennero quasi tutti assolti. Non dobbiamo dimenticare la loro coraggiosa e sfortunata rivolta perché è stata l’ultima, troppo isolata ed ormai tardiva resistenza del mondo tradizionale alpino al liberismo capitalista ed al peggior centralismo che, con la forza delle armi, proprio allora faceva nascere l’Italia.